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Cinema

“Profondo rosso”, mezzo secolo di terrore: il capolavoro di Dario Argento torna al cinema

Mezzo secolo dopo, Profondo rosso mantiene intatta la sua forza visiva e il suo potere ipnotico. Un film che ha influenzato generazioni di registi e che ancora oggi rappresenta un’esperienza cinematografica irripetibile. Il ritorno in sala segna anche l’inizio di un ciclo dedicato ai maestri del cinema di genere.

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    Cinquant’anni e non sentirli. Profondo rosso, il thriller che ha cambiato per sempre il cinema dell’orrore, torna nelle sale con una programmazione speciale che proseguirà per tutto il 2025. Un’operazione che riporta sul grande schermo uno dei film più iconici di Dario Argento, un’opera che ha riscritto le regole del giallo, mescolando musica ipnotica, tensione costante e un’estetica barocca di sangue e paura.

    Un film che non si limita a spaventare, ma che gioca con la percezione dello spettatore, trascinandolo in un incubo sospeso tra onirico e macabro, tra efferatezza e melodia. La colonna sonora firmata dai Goblin di Claudio Simonetti e da Giorgio Gaslini è ancora oggi una delle più riconoscibili del cinema horror. Il cast, con Daria Nicolodi, David Hemmings e Gabriele Lavia, ha dato vita a personaggi indimenticabili, rendendo ogni sequenza un tassello perfetto di un puzzle del terrore.

    Ma Profondo rosso è anche un film di rottura, un’opera in cui Argento sabotava le regole del genere che lui stesso aveva perfezionato. Un thriller che sfugge alla logica per abbracciare la pura suggestione, con scene che si susseguono come frammenti di un incubo impossibile da razionalizzare, lasciando lo spettatore intrappolato in una tensione continua.

    Quando uscì, nel 1975, divenne subito uno dei dieci maggiori incassi della stagione, trasformandosi in un cult assoluto. La sua influenza si estese ben oltre i confini italiani, ispirando registi del calibro di John Carpenter (Halloween), Eli Roth (Hostel) e James Wan (Saw, Insidious).

    Il ritorno di Profondo rosso nelle sale è il risultato di una collaborazione tra RTI-Mediaset e Cat People, che non si fermerà qui. Dopo questa celebrazione, infatti, il ciclo cinematografico proseguirà con un omaggio al visionario giapponese Shinya Tsukamoto, regista di culto noto per il body horror estremo.

    Un’occasione imperdibile per riscoprire un capolavoro che ha fatto la storia e che, mezzo secolo dopo, continua a terrorizzare, ipnotizzare e lasciare il segno.

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      Cinema

      Il metodo Fenech contro i molestatori: “Una ginocchiata al momento giusto e capivano che non ero una da mettere sotto”

      L’icona del cinema erotico italiano parla senza rancore del lato oscuro degli esordi: “All’epoca la parola di una ragazza non valeva niente”. Poi il messaggio alle nuove generazioni: “La vera libertà è poter dire di no, senza paura”. E sul MeToo: “Non dimentichi le donne comuni, non solo le star”.

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        Una ginocchiata, e passava la paura. Così Edwige Fenech, 76 anni, ha raccontato in diretta su Rai1, ospite di Francesca Fialdini a Da noi… a ruota libera, come ha imparato a difendersi da giovane dalle molestie. “Ero all’inizio del mio percorso e in certi ambienti la prepotenza era la norma. La parola di una ragazza non valeva niente. Non avevi strumenti, né sostegno. Ti difendevi come potevi”, ha ricordato l’attrice, simbolo del cinema sexy italiano degli anni Settanta.

        Con la voce ferma e un sorriso che non cancella la memoria, Fenech ha aggiunto: “Io ho sempre reagito a modo mio: una vigorosa ginocchiata al momento giusto bastava a far capire che non ero una da mettere sotto”. Una frase che riassume un’epoca in cui le giovani attrici, spesso sole davanti al potere dei produttori, dovevano trovare il modo di sopravvivere a un sistema spietato.

        Senza mai cedere al vittimismo, Fenech ha raccontato di aver trasformato quelle esperienze in forza. “Non rinnego nulla, nemmeno le ferite. Mi hanno resa più forte, più consapevole. Ora so che la vera libertà è poter dire di no, senza paura”.

        Nel corso dell’intervista, l’attrice e produttrice ha anche commentato una riflessione della scrittrice femminista Susan Faludi, secondo cui il movimento MeToo avrebbe perso forza quando è diventato una battaglia delle star di Hollywood. “Non deve essere così – ha replicato –. Il MeToo è nato per difendere le donne comuni, quelle che non hanno un nome famoso o una telecamera accesa. La libertà e il rispetto devono valere per tutte”.

        Oggi, Edwige Fenech guarda al passato con lucidità. Da icona di un cinema spesso frainteso a donna che ha saputo reinventarsi, il suo messaggio è semplice ma potentissimo: il rispetto non si chiede, si impone. Anche con una ginocchiata, se serve.

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          Cinema

          Charlize Theron ignora Johnny Depp a Parigi: gelo tra le star venticinque anni dopo La moglie dell’astronauta

          A distanza di venticinque anni dal film che li vide protagonisti, la scena si ripete ma al contrario: lui pronto a sorridere, lei lo evita con eleganza glaciale. Sui social si moltiplicano i video del momento e gli interrogativi sulle ragioni di un gelo tanto evidente.

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            Parigi, notte di gala per LVMH. Tappeti rossi, fotografi, flash e abiti da sogno. Ma il momento più commentato non è quello della sfilata o della cena di gala: è il mancato saluto tra Charlize Theron e Johnny Depp, che si sono ritrovati a pochi passi l’uno dall’altra dopo più di venticinque anni dal film La moglie dell’astronauta (1999).

            Lui, elegantissimo in smoking scuro, era accanto a Brigitte Macron; lei, in abito dorato e sorriso impeccabile, è avanzata tra le autorità salutando il presidente di LVMH Bernard Arnault e la first lady francese. Tutto sembrava pronto per il consueto scambio di convenevoli tra due divi che avevano condiviso un set entrato nella memoria degli anni Novanta. E invece no: Charlize ha rivolto un breve cenno di saluto a Brigitte Macron e ha proseguito oltre, senza nemmeno incrociare lo sguardo di Depp.

            Il gesto, immortalato dai presenti e rilanciato in poche ore su tutti i social, ha scatenato un’ondata di commenti. “Sembrava lo stesse aspettando”, ha scritto un utente su X, “ma lei lo ha letteralmente ignorato”. I più maliziosi parlano di vecchie ruggini legate alle difficoltà durante le riprese di La moglie dell’astronauta, quando — secondo alcune voci di set — tra i due non correva buon sangue.

            Altri ipotizzano invece un gesto deliberato: Theron, oggi paladina delle cause femministe a Hollywood, non avrebbe gradito le polemiche e le controversie legate al lungo processo tra Depp e Amber Heard, chiusosi nel 2022 ma ancora oggetto di dibattito pubblico.

            Nessuno dei due ha commentato l’accaduto, ma i video del “gelo di Parigi” continuano a macinare visualizzazioni. C’è chi parla di “freddezza diplomatica”, chi di “classe inavvicinabile”, chi ancora ironizza: “Charlize Theron ha fatto in due secondi quello che la giuria ha fatto in sei settimane”.

            Per ora resta solo un fatto: a distanza di un quarto di secolo dal loro film insieme, Johnny e Charlize non sembrano più appartenere allo stesso universo. Anche nel mondo dorato delle star, certe orbite non si incrociano due volte.

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              Cinema

              Benigni e Braschi, il bilancio (in calo) di una coppia d’oro: Melampo scende sotto il milione ma in vent’anni ha fruttato oltre 100 milioni di euro

              Fondata nel 1991, la Melampo resta una miniera d’oro per Roberto Benigni e Nicoletta Braschi, che in due decenni hanno incassato oltre 100 milioni di euro grazie ai diritti dei loro film. Ma ora i numeri raccontano un rallentamento fisiologico, dopo vent’anni senza nuove produzioni cinematografiche.

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                C’erano una volta Roberto Benigni e Nicoletta Braschi, coppia d’arte e d’amore, e la loro creatura produttiva: Melampo Cinematografica srl. Una società nata nel 1991, cresciuta sull’onda di successi internazionali come La vita è bella, Il mostro e La tigre e la neve, e capace di trasformare l’estro del comico toscano in un piccolo impero economico. Oggi, però, i numeri raccontano un fisiologico rallentamento.

                Nel bilancio dell’ultimo anno, Melampo ha registrato un fatturato di 852.683 euro, per la prima volta sotto il milione, contro gli 1,4 milioni dell’anno precedente. L’utile netto si è attestato a 184.353 euro, ben lontano dai 733.782 del 2023. Un calo significativo, accompagnato da una decisione inedita: per la prima volta, Benigni e Braschi non si sono distribuiti dividendi, lasciando l’intero utile in azienda.

                Il dato segna la chiusura di un ciclo. L’ultimo film prodotto dalla Melampo risale al 2005 — La tigre e la neve — ma negli anni la società ha continuato a generare profitti grazie ai diritti d’autore e di sfruttamento delle opere più celebri. In bilancio la voce “diritti di utilizzazione opere dell’ingegno” ammonta infatti a oltre 106,8 milioni di euro, una cifra che da sola racconta il valore del patrimonio costruito dalla coppia.

                Un tesoro accumulato tra Oscar e incassi miliardari, che permette a Benigni e Braschi di dormire sonni tranquilli nonostante il declino dei numeri recenti. Del resto, la Melampo è stata per decenni una macchina perfetta: dopo La vita è bella (1997), vincitore di tre Oscar e campione d’incassi nel mondo, arrivarono Pinocchio e Asterix e Obelix contro Cesare, meno fortunati ma comunque redditizi.

                Oggi, la società vive dei ricavi provenienti dalle repliche televisive, dalle distribuzioni internazionali e dagli spettacoli teatrali e televisivi su Dante, la Costituzione e l’Europa, che hanno visto Benigni ancora protagonista. In parallelo, i due artisti controllano anche la Tentacoli Edizioni Musicali, che gestisce i diritti musicali dei loro film. Qui il fatturato è cresciuto a 158 mila euro, ma l’utile netto si è dimezzato a 40 mila euro.

                Nessun dramma, assicurano i contabili: la Melampo resta una delle case di produzione indipendenti più solide d’Italia, con un patrimonio netto imponente e una storia che pochi possono vantare. Per ora niente nuovi film all’orizzonte, ma Benigni e Braschi — come il titolo del loro capolavoro — possono dire che la vita è ancora bella, anche con un utile più piccolo.

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