Musica
L’eroina di Lennon? Era solo Yoko Ono… In un libro tutta la verità sui Beatles
Nel volume “All You Need Is Love” gli autori Steve Gaines e Peter Brown affermano con decisione che fu Yoko Ono a iniziare il marito John Lennon alla droga.
Nel volume “All You Need Is Love” gli autori Steve Gaines e Peter Brown affermano con decisione che fu Yoko Ono a iniziare il marito John Lennon alla droga.
Per realizzare il libro Gaines e Brown, hanno attinto alle interviste raccolte nel loro precedente testo The Love You Make (1983). Il materiale comprende interviste intime con Paul McCartney, Yoko Ono, George Harrison, Ringo Starr, le loro famiglie, amici e i soci in affari. Le interviste furono effettuate da Peter Brown e Steven Gaines nel 1980-1981 durante la preparazione di The Love You Make. Un best seller internazionale che nel 1983 rimase per ben quattro mesi nella classifica del New York Times . E che rimane la biografia sui Beatles più venduta al mondo.
Ma solo una piccola parte è stata rivelato
Le interviste sono uniche. Informazioni, storie, esperienze e l’autorevolezza delle persone che si relazionano con i protagonisti hanno un valore storico. E rappresenta un compendio di esperienze che non ha eguali. Oltre alle interviste con Paul, Yoko, Ringo e George, i due autori includono anche interviste alle ex mogli Cynthia Lennon, Pattie – Harrison Clapton e Maureen Starkey. Nonché alle principali figure sociali e imprenditoriali della cerchia ristretta dei Beatles. Un materiale che contribuisce a fare chiarezza sul motivo per cui i Beatles si sciolsero.
Yoko, mai amata dai fan dei Beatles
Il passaggio più controverso del volume è quello che riguarda il rapporto di Lennon con l’eroina. Yoko Ono ha sempre negato di aver convinto l’ex Beatle ad assumere la droga. “Essere sotto effetto era semplicemente una bella sensazione. Quindi l’ho detto a John”, spiega nel libro la stessa Yoko. Secondo lei Lennon assunse la droga per la prima volta quando era a Parigi. Nell’intervista l’artista ha voluto specificare che Lennon “non avrebbe preso nulla a meno che non volesse farlo: e lui voleva farlo, ecco perché mi chiedeva delle mie esperienze precedenti“. Inoltre nega con fermezza l’affermazione secondo cui la dipendenza dall’eroina di John era dipesa da lei, aggiungendo che la coppia “non se la è mai iniettata”, ma di solito la ha soltanto sniffata.
Nel 1970, Lennon parlò di questa sua esperienza
In alcune interviste rilasciate alla rivista Rolling Stones, Lennon ha più volte ricordato che “Non è stato molto divertente. Non l’ho mai iniettata o altro. Abbiamo sniffato un po’ quando soffrivamo davvero”. Era il periodo in cui Lennon soffriva a causa del trattamento che gli altri Beatles riservavano alla moglie Yoko. “Provavamo così tanto dolore che dovevamo fare qualcosa. E questo è quello che è successo. Abbiamo preso l’eroina per quello che ci stavano facendo i Beatles e gli altri. Ma alla fine ne siamo usciti”.
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Musica
Mahmood firma “Le Cose non Dette”, la canzone originale del nuovo film di Muccino tra musica, cinema e silenzi che pesano
Una canzone che nasce per il cinema e diventa parte del racconto. Mahmood è la voce e l’autore di “Le Cose non Dette”, brano originale dell’omonimo film di Gabriele Muccino, con un cast corale e una colonna sonora diretta da Paolo Buonvino.
Quando cinema e musica si incontrano sul terreno delle emozioni non dette, il risultato difficilmente passa inosservato. Mahmood interpreta e firma “Le Cose non Dette”, la canzone originale dell’omonimo nuovo film di Gabriele Muccino, mettendo la sua voce al servizio di una storia che ruota attorno a parole mancate, scelte sospese e legami complessi.
Il brano accompagna un film corale che vede protagonisti Stefano Accorsi, Miriam Leone, Claudio Santamaria e Carolina Crescentini, volti diversi ma complementari di un racconto che, già dal titolo, promette introspezione e tensione emotiva. La musica non è un semplice contorno: è parte integrante della narrazione, un filo invisibile che lega le scene e ne amplifica il peso.
Mahmood tra pop e cinema
Per Mahmood non si tratta solo di prestare la voce, ma di entrare nel cuore del progetto anche come autore. “Le Cose non Dette” nasce pensata per il film, cucita su immagini e atmosfere, lontana dall’idea di una canzone inserita a posteriori. La sua scrittura, spesso attenta alle fragilità e ai silenzi, trova qui un terreno naturale, dialogando con il linguaggio cinematografico di Muccino.
Il mondo emotivo di Muccino
Il cinema di Gabriele Muccino ha sempre fatto delle relazioni e dei conflitti interiori il proprio centro gravitazionale. Affidare la canzone originale a Mahmood significa puntare su una sensibilità affine, capace di raccontare l’irrisolto senza urlarlo. Il titolo condiviso tra film e brano rafforza questa fusione, trasformando la musica in una sorta di voce parallela della storia.
Un cast che moltiplica i punti di vista
Accorsi, Leone, Santamaria e Crescentini compongono un mosaico di personaggi che promette dinamiche intrecciate e sguardi differenti sullo stesso nodo emotivo. In questo contesto, la canzone diventa un elemento di raccordo, un commento emotivo che attraversa le traiettorie dei protagonisti senza sovrapporsi ai dialoghi.
La colonna sonora firmata Buonvino
A dare unità all’universo musicale del film è Paolo Buonvino, che produce e dirige l’intera colonna sonora. Il suo intervento garantisce coerenza e respiro cinematografico, creando uno spazio sonoro in cui “Le Cose non Dette” di Mahmood può risuonare senza stonature, inserita in un disegno più ampio e strutturato.
Cinema, musica e parole taciute si intrecciano così in un progetto che punta tutto sull’emozione trattenuta. E quando le cose non vengono dette, spesso è la musica a farsi carico di raccontarle.
Musica
L’indomita Mina immagina il ritorno in scena: smoking, Sinatra e un sogno che è anche un incubo
“Farò uno sforzo per illudervi un po’”. Con poche righe, Mina costruisce il concerto del suo ritorno e insieme lo smonta. Orchestra, coro, smoking alla Sinatra e ospiti leggendari evocati come fantasmi. Un sogno per il pubblico, un incubo dichiarato per lei.
Mina non torna. O forse sì. Ma solo a parole, e solo alle sue condizioni. Basta una dichiarazione, apparentemente leggera, per riaccendere un immaginario che non si è mai spento. “Il concerto del mio rientro sulle scene?”, scrive, e da lì parte un racconto che è insieme promessa, parodia e dichiarazione d’indipendenza artistica. Come sempre, è Mina a dettare il ritmo.
“Farò uno sforzo per illudervi un po’”, dice subito, mettendo le cose in chiaro. L’illusione è concessa, ma resta tale. Poi l’immagine prende forma: grande orchestra schierata a semicerchio, coro, ingresso in smoking, travestita da Frank Sinatra. Non una Mina nostalgica, ma una Mina che gioca con i miti, li indossa e li cita senza mai inginocchiarsi.
Il concerto immaginato come teatro mentale
Non è un annuncio, non è una promessa. È una scena costruita con precisione, quasi fosse un numero di teatro. Mina entra, presenta ospiti d’onore come Elvis, Ella, Gardel. Li introduce come se fossero lì, ma sappiamo tutti che non lo sono. Ed è proprio questo il punto: il concerto esiste solo nel racconto, in quello spazio sospeso dove l’artista controlla tutto e il pubblico può solo immaginare.
Ironia, distanza e controllo totale
“Non male. Che ne pensate?”, chiede, con quella leggerezza che in realtà è una forma di potere. Mina si concede il lusso di scherzare su ciò che per altri sarebbe un evento epocale. Si diverte persino a concedere dei bis, come se stesse già governando l’applauso, anticipandolo, ridimensionandolo. È il suo modo di restare lontana, pur parlando a tutti.
Sogno per voi, incubo per me
La frase che chiude il quadro è la più sincera e la più spietata: “Piccolo sogno per voi, piccolo incubo per me”. In poche parole c’è tutto il senso del suo rapporto con il palco. L’amore del pubblico da una parte, il peso dell’esposizione dall’altra. E poi la conclusione, secca, definitiva: “Per ora non posso fare di più”.
Non c’è malinconia, non c’è nostalgia. C’è consapevolezza. Mina non annuncia un ritorno, lo evoca per dimostrare che potrebbe farlo, ma non ne ha bisogno. Anche senza salire su un palco, resta lì: centrale, indomita, padrona assoluta del suo mito.
Musica
Fedez e Marco Masini, la cover “segreta” di Sorrisi: foto scattata in anticipo e lontano dagli altri Big
Mentre gli altri Big posano il lunedì, Fedez e Marco Masini anticipano tutti e scattano la foto per la cover di gruppo di Tv Sorrisi e Canzoni già domenica sera. Un set riservato, senza incrociare gli altri artisti: un piccolo favore per due nomi tra i più quotati in Riviera.
A Sanremo non conta solo chi sale sul palco, ma anche quando e come ci arriva. E la storia della cover di gruppo di Tv Sorrisi e Canzoni lo dimostra. Fedez e Marco Masini hanno infatti scattato la famosa foto già domenica sera, a porte chiuse e lontano dagli altri Big, tutti immortalati invece nella giornata di lunedì. Un anticipo che non è passato inosservato.
Il set è stato blindato, senza incontri casuali né backstage affollati. Uno scatto rapido, mirato, riservato. Un piccolo favore concesso a due artisti che, in Riviera, risultano tra i più quotati e osservati. Non un colpo di scena clamoroso, ma uno di quei dettagli che raccontano molto delle dinamiche sanremesi.
Lo scatto lontano dagli altri Big
La scelta di anticipare la foto evita sovrapposizioni, attese e incroci inevitabili quando il Festival entra nel vivo. Mentre il resto del cast posa compatto il lunedì, Fedez e Masini hanno già archiviato l’impegno. Un’operazione silenziosa, quasi chirurgica, che lascia tutti al loro posto e senza rumore.
Un favore che pesa come un segnale
In Riviera certe attenzioni non sono mai casuali. Il fatto che lo scatto sia avvenuto a porte chiuse suggerisce una gestione calibrata dei tempi e delle presenze. Fedez e Masini arrivano a Sanremo con aspettative alte e un’attenzione mediatica costante, e questo anticipo sembra fatto apposta per non aggiungere tensioni inutili.
La macchina di Sorrisi e il timing perfetto
Per Tv Sorrisi e Canzoni la cover resta un rito intoccabile, ma anche il rito si adatta ai protagonisti. Anticipare lo scatto non cambia l’immagine finale, ma racconta il dietro le quinte di un Festival dove ogni dettaglio viene oliato con precisione. Tutto appare uguale, ma non tutti passano nello stesso momento.
Sanremo, anche fuori dall’Ariston
Alla fine, la foto è una sola e il risultato è lo stesso per tutti. Ma sapere che qualcuno è passato prima, in silenzio, aggiunge un livello di lettura in più. A Sanremo, anche una cover può diventare una mossa strategica. E Fedez e Marco Masini, questa volta, hanno giocato d’anticipo.
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