Musica
La rockstar perfetta? Altro che AI… era umana e si chiamava Freddie Mercury
Cosa rende Freddie Mercury una leggenda irraggiungibile del rock? Un carisma fuori scala, una voce iconica e… forse anche qualche segreto biologico. Il ricercatore Christian Herbst ha provato ad analizzare scientificamente la voce del frontman dei Queen, rivelando dati sorprendenti su estensione vocale, vibrato e fonazione subarmonica. Ma anche con tutti gli strumenti della scienza, il mistero della sua grandezza resta, almeno in parte, inspiegabile
Essere la più grande rockstar di tutti i tempi non si insegna, non si pianifica, non si costruisce. Ma si può, forse, analizzare dopo. È quello che ha provato a fare Christian Herbst, uno scienziato austriaco esperto di voce, partendo da un assunto condiviso da molti: Freddie Mercury è stato (e resta) un fenomeno irripetibile. Non bastano tecnica e presenza scenica. Serve qualcosa che sfugge al calcolo. La sua voce aveva qualcosa di oggettivamente straordinario ma ciò che lo ha reso immortale va oltre le onde sonore: è il modo in cui ha saputo toccare milioni di persone, in un linguaggio universale che nemmeno la scienza può davvero tradurre. Eppure, Herbst ha deciso di misurare l’inimmaginabile.
Un vibrato fuori scala: i numeri della voce di Freddie
Nel suo studio Freddie Mercury – acoustic analysis of speaking fundamental frequency, vibrato, and subharmonics, pubblicato su PubMed, Herbst ha analizzato diverse registrazioni della voce di Mercury. Il dato che ha fatto alzare più di un sopracciglio? Un tasso di vibrato di 7,0 Hz, ben oltre la media di 5,5-6 Hz dei cantanti professionisti. Questo significa che la modulazione della sua voce era più veloce e marcata, portando a una percezione più intensa e penetrante del suono. Un tratto distintivo che ha reso le sue esibizioni immediatamente riconoscibili.
La magia della fonazione subarmonica
Ma non finisce qui. Secondo Herbst, Freddie Mercury era capace anche di generare un fenomeno raro noto come fonazione subarmonica: le sue corde vocali riuscivano a produrre frequenze multiple rispetto alla nota base. In parole povere? La sua voce era più ricca, più piena, quasi orchestrale da sola. Questa tecnica, naturale e non forzata, è riscontrabile solo in pochissimi cantanti al mondo.
Il leader dei Queen fra studio, talento e ossessione per la perfezione
Come ha ricordato anche il chitarrista Brian May, co-fondatore dei Queen, Freddie era ossessionato dalla perfezione. Durante le registrazioni, ripeteva le tracce vocali più e più volte, fino a ottenere il risultato che voleva. Aveva una visione precisa di ciò che voleva esprimere… e la capacità straordinaria di raggiungerlo. Un talento innato sì, ma anche una disciplina da atleta, che lo ha reso ciò che ancora oggi celebriamo.
La canzone più gioiosa? È dei Queen, lo dice la scienza
Non è la prima volta che la scienza si avvicina al mondo dei Queen. In un altro studio, una loro hit è stata definita “la canzone più gioiosa di sempre”, basandosi su parametri come tempo, progressione armonica e parole. Eppure, come ammettono gli stessi ricercatori, l’impatto emotivo dell’arte resta in parte misterioso.
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Musica
Lucio Corsi: «Dopo Sanremo la vita è la stessa, passo le giornate con gli amici di sempre»
«Il giorno dopo Sanremo sembrava un film: le macchine mi salutavano per strada. Ma non è cambiato niente. Suono con gli stessi amici, scrivo con la stessa leggerezza». Dopo il trionfo sul palco dell’Ariston, Lucio Corsi debutta sul grande schermo con un live visionario girato in pellicola 16mm.
«Il giorno dopo Sanremo sono uscito di casa e tutte le macchine mi salutavano. Sembrava un film». Lucio Corsi sorride mentre racconta i mesi che hanno cambiato la sua carriera, ma non la sua vita. Dopo l’exploit all’Ariston con Volevo essere un duro, il cantautore toscano si prepara a sbarcare anche al cinema con il film concerto La chitarra nella roccia – Lucio Corsi dal vivo all’Abbazia di San Galgano, in esclusiva nei The Space Cinema il 3, 4 e 5 novembre.
Un viaggio musicale e visivo diretto dal suo “fratello artistico” Tommaso Ottomano e prodotto da Sugar, che raccoglie il live registrato nell’estate 2024 nella celebre abbazia del XII secolo, tra le più suggestive d’Italia. Girato interamente in pellicola 16mm, è un omaggio alla terra d’origine dell’artista, quella Maremma che continua a essere la sua musa silenziosa.
«Suono con gli stessi ragazzi e passo le giornate con gli amici di sempre», spiega Corsi. «Nelle cose che amiamo, come scrivere canzoni, non è cambiato niente. Siamo cresciuti insieme e ci teniamo a vicenda coi piedi per terra. È quello che fa anche la Maremma: la casa dove sono nato è circondata da alberi, e loro sono i primi che ti insegnano a guardarti intorno, ma restando piantati dove sei nato».
La sua musica, sospesa tra fiaba e rock, trova nell’abbazia un tempio naturale. «Se fosse un personaggio delle mie canzoni, sarebbe una balena che nuota nella campagna, con una buona acustica nella pancia», racconta divertito. «È un luogo che ha popolato la mia immaginazione fin da bambino. I miei genitori mi ci portavano spesso, e da anni ci immaginavo dentro un palcoscenico. Questo era l’anno giusto per provarci».
Nel film, le luci, i suoni e la voce di Corsi si intrecciano con l’architettura gotica del luogo, trasformando ogni brano in una visione. La chitarra nella roccia è anche un disco, in uscita il 14 novembre, che cattura la stessa energia del live. «In adolescenza io e Tommaso siamo stati travolti dalla musica – racconta –. Ci ha portato via dalle nostre camerette e dalla noia che somiglia alla pace di un paese. Da allora, il sogno è stato quello di restituire quella magia».
E i sogni, per Lucio, continuano a farsi concreti. Dopo il film e l’album, nel gennaio 2026 partirà il suo Tour Europeo, con date nei club delle principali città del continente, cui seguirà Lucio Corsi – Palasport 2026, il primo tour nei palazzetti italiani.
Una corsa senza artifici, fatta di chitarre, amici e radici. «Sanremo mi ha dato tanto – conclude – ma la mia forza è restare quello di sempre. Nei miei sogni ci sono ancora la Maremma e una balena che canta nel silenzio».
Musica
Victoria Beckham: «Da ragazzina mi chiamavano stupida e mi tiravano lattine». Il bullismo, la dislessia che l’ha resa più forte
Ospite del podcast Call Her Daddy, Victoria Beckham rivela le ferite mai guarite del passato: bullismo, acne, dislessia e la sensazione di sentirsi “sbagliata”. «Quell’esperienza mi ha temprata, mi ha preparato alla cattiveria dei media».
Dietro la perfezione di Victoria Beckham c’è una ragazza che ha conosciuto la crudeltà e la solitudine. A raccontarlo è lei stessa, senza filtri, nel podcast Call Her Daddy. «Ero una bambina e un’adolescente un po’ strana» dice, ricordando gli anni in cui sentirsi diversa sembrava una colpa.
«A scuola ero vittima di bullismo. Gli altri ragazzi dopo le lezioni fumavano, uscivano, io andavo a danza o a teatro. Non riuscivo a integrarmi».
A rendere tutto più difficile c’erano anche l’acne, i capelli piatti e l’insicurezza. «Ricordo quando ero nel cortile della scuola, tutta sola, e i bambini raccoglievano le lattine di Coca-Cola dalle pozzanghere per tirarmele addosso. È stato umiliante».
Un dolore amplificato dalle difficoltà scolastiche: «Guardando i miei figli ora mi rendo conto di essere dislessica e di soffrire di discalculia. All’epoca però non si parlava di queste cose. Mi chiamavano semplicemente “stupida”».
Nemmeno il college fu un rifugio. «Mi dissero che non ero abbastanza brava o bella, troppo grassa per salire sul palco». Un giudizio che avrebbe potuto distruggerla, ma che invece l’ha resa più determinata. «Quel bullismo mi ha preparata a quello dei media» racconta. «Mi ha temprata».
Oggi, a cinquant’anni, Victoria Beckham è icona di stile e fondatrice di un marchio di moda di successo, ma non dimentica la ragazzina insicura che era. «Allora non si parlava di salute mentale come si fa oggi. Io cercavo solo di sopravvivere, di restare me stessa».
Dietro l’immagine impeccabile della Posh Spice resta così la forza di una donna che ha trasformato la vergogna in disciplina e le ferite in eleganza. Perché la vera bellezza — quella che resiste — nasce sempre da un difetto accettato.
Musica
Sabrina Salerno: «La terapia ormonale è dura, ma continuo a ballare». Dopo il tumore, la cantante si racconta
Scoperto in tempo grazie alla prevenzione, il tumore di Sabrina Salerno non ha richiesto chemioterapia. Oggi l’artista affronta gli effetti delle cure ormonali, ma non perde entusiasmo: «Mi chiedo come nel 2025 non si sia ancora trovata una terapia più leggera».
Sabrina Salerno non si ferma. A un anno dalla diagnosi di tumore al seno, la cantante e showgirl è tornata in scena con la stessa grinta che l’ha resa un’icona degli anni ’80. Lo scorso luglio il singolo, Bollente, realizzato in collaborazione con Ludwig (Ludovico Franchitti), ha rappresentato un inno all’energia e alla rinascita. Ma dietro la luce del palco c’è anche il racconto di una battaglia personale.
Nell’agosto 2024 Sabrina aveva rivelato ai suoi follower di aver scoperto un nodulo maligno al seno. Una lesione non palpabile, individuata grazie a una mammografia di routine. «È stata la prevenzione a salvarmi» aveva scritto sui social. Diagnosticato in fase iniziale, il tumore non ha richiesto chemioterapia ma solo radioterapia mirata.
Oggi la cantante sta affrontando una terapia ormonale specifica, necessaria per prevenire recidive. «Mi chiedo come mai nel 2025 non si sia ancora trovato un metodo per far andare le cose meglio» ha raccontato in un’intervista a Libero Quotidiano, denunciando le difficoltà e gli effetti collaterali del trattamento. Una testimonianza sincera che mette in luce la necessità di continuare a investire nella ricerca.
Nonostante tutto, la sua carriera non si è mai fermata. «Continuo a lavorare, a fare musica e a crederci» ha dichiarato con il sorriso che l’ha sempre contraddistinta. Bollente è un brano ironico e sensuale, ma anche simbolico: racconta la voglia di restare viva, di muoversi, di non lasciarsi definire dalla malattia.
Sabrina non parla solo di sé. Nella stessa intervista ha espresso stima per Elodie, Alfa, Jennifer Lopez e Cher, donne che, come lei, hanno trasformato la sensualità in linguaggio artistico. «Il corpo è uno strumento di comunicazione, non un tabù» ha detto.
Tra forza, ironia e consapevolezza, la Salerno dimostra ancora una volta che si può essere fragili e indistruttibili allo stesso tempo.
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