Spettacolo
Oltre le ombre: Il vasto universo di Tolkien
Il leggendario regno di Rohan si arricchisce con “Il Signore degli Anelli: La Saga dei Rohirrim” e Prime Video ci riporta nel mondo degli elfi, tutti belli, eleganti, influenti e incorruttibili.
Qualche anticipazione
Il film “La Guerra dei Rohirrim” è prodotto da Warner Bros. Animation e New Line Cinema e realizzato grazie allo studio di animazione Sola Entertainment. Si tratta di un prequel ambientato 261 anni prima degli eventi della trilogia di Peter Jackson (e circa 200 anni prima di quelli raccontati nei film de “Lo Hobbit”).
Il leggendario re di Rohan, Helm Hammerhand, sarà interpretato da Brian Cox. Nel cast, tornerà anche Miranda Otto nel ruolo di Éowyn, già presente nella trilogia cinematografica de “Il Signore degli Anelli”, che fungerà anche da narratrice.


Immagini della serie “Il Signore degli Anelli”
“La Guerra dei Rohirrim” sarà rilasciato negli Stati Uniti il 13 dicembre 2024 da Warner Bros. Pictures, ma al momento non è stata comunicata alcuna data di uscita italiana e gli aggiornamenti sembrano scarsi.


Il personaggio Helm e gli Elfi
Un universo quasi inesplorato
Era inglese lo scrittore John Ronald Reuel Tolkien amato per le sue epiche opere fantasy come Lo Hobbit, Il Signore degli Anelli e Il Silmarillion, era nato nel 1892. Diventato lettore d’inglese all’Università di Leeds nel 1920, divenne docente di inglese antico ad Oxford, nel 1945. Durante la sua carriera universitaria, Tolkien ha pubblicato studi e tenuto conferenze sui generi letterari della fiaba e dell’epica; inoltre, è noto per aver creato lingue e mitologie complete per i mondi che ha immaginato, contribuendo così a plasmare il panorama del fantasy moderno.
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Personaggi e interviste
Enrica Bonaccorti: «Il mio tumore al pancreas è inoperabile, ma continuo a guardare avanti»
Dopo la diagnosi, Bonaccorti ha perso quattro chili ma ha trovato nella scrittura la sua forza: “Sto raccogliendo i miei racconti, a gennaio uscirà il mio nuovo libro Nove novelle senza lieto fine. Scrivere mi aiuta a non pensare al dolore”.
Enrica Bonaccorti affronta con lucidità e coraggio una delle prove più difficili della sua vita. In un’intervista a Gente, la conduttrice ha raccontato di avere un tumore al pancreas, scoperto per caso dopo alcuni esami di controllo. «Il tumore si è insinuato in un punto molto delicato – ha spiegato – e purtroppo è inoperabile. Mi hanno sospeso la chemioterapia: non ho più dolori né nausea, ma la debolezza resta».
Nonostante tutto, la voce di Enrica è ferma, lo sguardo rivolto in avanti. «Ora inizierò le sedute di radioterapia – racconta –. Grazie ai racconti di chi c’è passato e ce l’ha fatta, ho ritrovato fiducia. L’atteggiamento positivo aiuta molto e io voglio credere che guarirò».
La diagnosi è arrivata come un fulmine. «Ero andata a ritirare i risultati di alcuni esami dopo un piccolo intervento – ricorda –. Pensavo di poter partire per qualche giorno di vacanza, invece dopo tre giorni facevo la mia prima seduta di chemioterapia. Mi avevano trovato un tumore al pancreas».
Da allora la sua quotidianità è cambiata, ma non la sua forza. «Ho perso quattro chili, ma ho trovato un modo per stare meglio: scrivere. La scrittura è la mia terapia, il mio modo di restare viva». Bonaccorti, infatti, sta lavorando a un nuovo libro di racconti, in uscita a gennaio, dal titolo Nove novelle senza lieto fine. «Raccontare mi aiuta a liberare la mente. A volte scrivo anche di notte, quando non riesco a dormire. È il mio modo per non cedere alla paura».
Una paura che Enrica combatte con la lucidità e la grazia che da sempre la contraddistinguono. «La malattia ti costringe a fermarti, a guardarti dentro, a capire cosa conta davvero. Io oggi scelgo di sorridere e di vivere ogni giornata come un dono. Non posso operarmi, ma posso ancora sperare».
Tra coraggio e fragilità, Enrica Bonaccorti trasforma la sua storia in un messaggio di forza per chi, come lei, sta attraversando la malattia: «La speranza non è una parola, è una scelta quotidiana. Io ho scelto di non arrendermi».
Cinema
Dieci film da vedere a Halloween: i grandi classici (e qualche sorpresa) per una notte da brivido
La notte di Halloween è ormai sinonimo di cinema horror. Che si tratti di una maratona con gli amici o di una serata in solitaria, le luci spente e un buon film possono trasformare il 31 ottobre in un’esperienza da brividi.
Abbiamo scelto dieci pellicole di ogni epoca — dai cult immortali ai titoli più recenti — per soddisfare tutti i gusti: dal terrore psicologico al soprannaturale, dall’ironia gotica alla pura adrenalina.

L’Esorcista (1973) – William Friedkin
Un classico assoluto che ha cambiato per sempre la storia del cinema horror. La lotta tra fede e possessione, il male che si insinua nella quotidianità: inquietante, sconvolgente, imprescindibile.

Halloween – La notte delle streghe (1978) – John Carpenter
Nasce il mito di Michael Myers e del moderno slasher movie. Colonna sonora iconica, tensione pura e una giovane Jamie Lee Curtis che diventa la “scream queen” per eccellenza.

Shining (1980) – Stanley Kubrick
Dall’Overlook Hotel arrivano i fantasmi del passato e della mente. Kubrick trasforma l’horror in arte visiva, con un Jack Nicholson indimenticabile in preda alla follia.

Nightmare – Dal profondo della notte (1984) – Wes Craven
Freddy Krueger popola i sogni (e gli incubi) di un’intera generazione. Geniale l’idea di un mostro che colpisce nel sonno, rendendo impossibile ogni via di fuga.

It (1990) – Tommy Lee Wallace
Tratto dal romanzo di Stephen King, il film tv che ha terrorizzato una generazione. Pennywise, il clown assassino, rimane una delle figure più disturbanti di sempre.

Nightmare Before Christmas (1993) – Henry Selick
Prodotto e ideato da Tim Burton, è una favola gotica diventata culto. Jack Skeletron, re di Halloween Town, scopre il Natale e dà vita a un mondo magico dove paura e poesia si mescolano in modo unico.

Il mistero di Sleepy Hollow (1999) – Tim Burton
Ancora Burton, questa volta con Johnny Depp nei panni di Ichabod Crane. Atmosfere gotiche, ironia nera e un’estetica che ha ridefinito il cinema fantastico degli anni ’90.

The Skeleton Key (2005) – Iain Softley
Ambientato nella Louisiana più misteriosa, è un thriller soprannaturale che gioca con le credenze del voodoo. Finale a sorpresa e tensione crescente fino all’ultimo minuto.

Insidious (2010) – James Wan
Il regista di Saw e The Conjuring firma uno dei film più spaventosi del nuovo millennio. Case infestate, viaggi astrali e un terrore che si insinua silenziosamente nella mente dello spettatore.

Talk to Me (2022) – Danny e Michael Philippou
Diretto dai fratelli australiani di YouTube, è un horror moderno che parla di dipendenza e perdita del controllo. Giovane, crudele, inquietante: perfetto per chi ama gli shock contemporanei.
Televisione
Heston Blumenthal, genio e fragilità: “Sono bipolare, ma la diagnosi mi ha salvato la vita”
Dalle allucinazioni al ricovero coatto, dalla stabilità ritrovata alla paura dell’ansia: Heston Blumenthal si confessa e riflette sul prezzo della genialità, tra medicina, creatività e il bisogno di equilibrio.
Heston Blumenthal, 58 anni, uno degli chef più innovativi e influenti del mondo, ha deciso di raccontarsi senza filtri. In un’intervista al Corriere della Sera, il fondatore del ristorante tre stelle Michelin The Fat Duck ha parlato per la prima volta apertamente del suo disturbo bipolare, una diagnosi che, come racconta, “ha cambiato tutto”.
“Non ho un disturbo bipolare: sono bipolare. È parte del mio Dna. Mi chiedo come abbia fatto a sopravvivere per 57 anni prima di scoprirlo.”
La svolta è arrivata nel gennaio 2024, quando la moglie, Melanie Ceysson, è stata costretta a farlo ricoverare con un trattamento sanitario obbligatorio. “Avevo allucinazioni e pensieri suicidi. Lei mi ha salvato la vita.” Dopo due mesi trascorsi in ospedale, Blumenthal ha iniziato un percorso di terapia e cura farmacologica che, pur stabilizzando il suo umore, gli ha cambiato il rapporto con se stesso e con il lavoro.
“Se prima vivevo di picchi di euforia e crolli devastanti, ora sono più stabile, ma mi sento meno brillante. Parlo più lentamente, mi manca un po’ quella follia che mi dava energia. Tuttavia, oggi riesco a raccontare chi sono con una chiarezza che il vecchio Heston non avrebbe mai avuto.”
Lo chef, famoso per la sua cucina sperimentale e scientifica, ha confidato di aver preso peso a causa delle cure e di aver iniziato ad assumere Mounjaro, un farmaco antiobesità oggi diffuso anche tra pazienti non diabetici. “Non è solo una questione estetica”, ha spiegato, “ma di salute e benessere psicologico”.
Blumenthal ripercorre poi le origini della sua passione: un viaggio in Francia, a 15 anni, con i genitori e la sorella. “È stato come cadere nella tana del Bianconiglio: in quell’istante ho capito che volevo cucinare.” Da autodidatta, trascorse anni a studiare libri di gastronomia e a sperimentare senza sosta. “Credo di aver provato più di sessanta versioni di gelato alla vaniglia. Da quella mania è nato, nel 1997, il mio piatto simbolo: il gelato al granchio.”
Negli anni Blumenthal ha costruito un impero gastronomico e una reputazione da visionario, ma non senza ombre. Dopo periodi di stress estremo e perfezionismo maniacale, ha rivisto anche il modo di rapportarsi con la sua brigata:
“Una volta sola ho urlato contro un ragazzo. Poi ho capito che il problema ero io: l’avevo messo in una posizione sbagliata, senza dargli le giuste basi. Da allora non ho più alzato la voce con nessuno.”
Oggi vive con la moglie in Francia, in una casa immersa nella natura. Nonostante la calma ritrovata, confessa di convivere ancora con l’ansia:
“Sono più sereno, ma continuo ad avere pensieri oscuri, anche se non concreti. Prima agivo d’impulso, ora ho paura che le cose possano andare storte. È un’ansia costante, ma è anche il segno che sono vivo.”
Il percorso di Blumenthal è quello di un uomo che, dopo aver reinventato la cucina moderna, ha dovuto reinventare se stesso. Oggi il genio di The Fat Duck sembra aver trovato una nuova forma di creatività, più silenziosa ma più profonda: quella che nasce dalla consapevolezza della propria fragilità.
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