Personaggi e interviste
Max Cavallari: “Dopo il malore volevo smettere. Ma Bruno mi diceva di continuare”
Dal primo incontro in un villaggio turistico agli anni d’oro dei Fichi d’India, passando per il malore che ha cambiato tutto: Max Cavallari racconta Bruno Arena, le risate, i tormentoni, i successi e i dolori mai detti. E promette: «Un giorno racconterò quello che è successo davvero a Zelig».

Bruno Arena non se n’è mai davvero andato. A raccontarlo è Max Cavallari, che da anni porta avanti da solo il nome dei Fichi d’India. Parlando del suo compagno di scena e di vita, Max usa sempre il «noi», come se Bruno fosse ancora lì, seduto accanto a lui, pronto a sparare una battuta fuori tempo, a infilarsi in un altro tormentone nato dal nulla.
Max, quanto le manca Bruno?
«Tanto. Ma è come se fosse sempre presente tramite me. Vado ancora in scena con il suo Maggiolino giallo: l’ho comprato apposta, per averlo vicino. La gente nei miei spettacoli riscopre i nostri personaggi. Ormai le vere amicizie sono rare: a volte è meglio la solitudine».
Un legame che non era solo professionale: era anche familiare.
«Bruno era pure mio cognato: ho avuto una figlia dalla sorella di sua moglie. Sono padrino di suo figlio, lui è padrino della mia Alice. Ci vedevamo a Natale, ai compleanni. Per il resto, eravamo come due poli opposti. Ma era lo zio della mia bambina, che oggi ha 32 anni».
La vostra comicità?
«Era avanspettacolo puro. Facevamo ridere con poco: venivamo dal popolo, raccontavamo personaggi veri, senza filtri, senza regole. Eravamo clown, quelli veri. Oggi, la comicità è solo volgarità».
Dopo il malore di Bruno, ha pensato di smettere?
«Sì, volevo mollare tutto. Ma quando andavo a trovarlo, lui mi faceva capire che dovevo continuare. Gli amici sono spariti, i parenti pure, tranne i suoi genitori. I fan, invece, mi hanno telefonato, mi hanno spinto a ricominciare. E sono ancora Max Cavallari dei Fichi d’India».
C’è una battuta che più di tutte le riporta a lui?
«I tormentoni “ahrarara” e “tichi tic”. Con quelle due parole mi sono comprato casa. “Ahrarara” nasce da un gioielliere con la erre moscia, Sergio Baracco: Bruno si era talmente immedesimato che una volta si infilò un topazio finto nel naso e finì al pronto soccorso».
Una delle prime vendette tra voi?
«Gli regalai una bicicletta Bianchi con le ruote bucate. Per ripicca minacciò di scassarmi la mia. Lui andava in bici a Colorado, io arrivavo con una Porsche cabrio. Una notte, Pier Silvio Berlusconi vide noi due, la Porsche e la bici e chiese: “Ma guadagnate uguale?”».
È vero che all’inizio vi stavate sulle palle?
«Sì, tanto. Lui era allenatore di basket all’oratorio, io ero il ragazzino imbranato. In squadra c’era uno che si chiamava Cavallari e faceva sempre canestro: Bruno non lo faceva mai giocare, solo per il cognome!».
Il numero 17, una ferita mai chiusa.
«Bruno odiava il 17: era il giorno dell’incidente che gli aveva lasciato i buchi in fronte. Ogni 17 del mese si bloccava, non faceva nulla. E il 17 gennaio 2013 fu il giorno del suo malore. Io me lo sono tatuato: 1+7 fa 8, il giorno in cui sono nato».
Perché vi chiamavate Fichi d’India?
«Perché sono frutti pungenti fuori e dolci dentro. Proprio come noi».
Come vi siete conosciuti artisticamente?
«A Palinuro. Bruno lavorava nei villaggi Touring, io in un’altra struttura. Ci trovammo in una discoteca, il Ciclope, dove c’era pure un ragazzino scatenato che saltava come un pazzo. Era Jovanotti. Bruno mi prese subito in giro: “Ah, sei quel cretino che non mi fa giocare a basket?”».
L’incontro con Benigni?
«Indimenticabile. Ci mandò un’auto a prenderci: pensavamo a una limousine, arrivò un rottame di Opel. Ma era tutto vero: Roberto fa lavorare chi ha bisogno. Ci voleva al Festival di Sanremo come Gatto e Volpe, ci definì “gli ultimi clown del millennio”. Ridevamo: improvvisavamo tutto, ma ce la cavavamo sempre».
Con Maurizio Costanzo un altro legame forte.
«Una mente geniale. Dormiva tre ore per notte. Anche in vacanza creava un ufficio in piscina: non riusciva a smettere di lavorare».
Oggi ci sono ancora veri comici?
«Pochi. Far ridere è diventato difficile. Tutti sono incattiviti. Prima bastava poco. Anche Zelig ha dato quello che poteva. Anzi, lì un giorno racconterò quello che hanno fatto davvero a Bruno. È una storia pesante».
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Personaggi e interviste
Fiorello demolisce la Rai: “Palinsesti da 27 anni fa. Chi li fa meriterebbe una pallottola nel cuore”
Don Matteo 13, Imma Tataranni 3, Makari 3: per Fiorello la programmazione Rai è “la stessa di 27 anni fa”. E rilancia: “Questo non è un palinsesto, è un miracolo che cammina”. Frecciate anche al mondo del cinema e ai furbi del tax credit: “Facciamo le sovvenzioni, ma pure autocritica”.

Nel debutto ufficiale del suo nuovo programma su Rai Radio2, La pennicanza, lo showman siciliano ha fatto quello che gli riesce meglio: mescolare ironia, paradosso e verità che bruciano. E la prima vittima è stata proprio la Rai, colpevole — secondo lui — di aver messo il palinsesto in naftalina nel 1997 e di non averlo mai più tirato fuori.
“I palinsesti Rai sono quelli di 27 anni fa”, dice ridendo (ma neanche troppo), “chi li fa meriterebbe una pallottola nel cuore”. E poi affonda il colpo: “Questo non è un palinsesto, è accanimento terapeutico. Ora inizia la stagione delle repliche: Don Matteo 13 (don Matteo ormai ha 109 anni), Lolita Lobosco 2, Imma Tataranni 3, Makari 3, Bianca 2, L’allieva e Cuori. Praticamente RaiUno è il museo delle cere”.
La battuta è feroce, ma l’applauso è servito. Perché sotto la risata c’è una stoccata a una tv che sembra aver perso il coraggio dell’innovazione. E non è finita.
Fiorello, in una finta telefonata con Gabriele Muccino, si toglie qualche sassolino anche dalle scarpe del cinema italiano: “Ci sono stati dei furbetti che si sono approfittati dei finanziamenti. Il cinema dovrebbe dirlo: sì alle sovvenzioni, ma anche un po’ di autocritica. In questo governo e in quelli precedenti c’è sempre stato chi ha fatto il furbo”.
La puntata poi scorre tra telefonate vere (come quella a Silvia Toffanin, beccata mentre “lavava i piatti”), revival di Ramazzotti e un botta e risposta live con il direttore di Repubblica, Mario Orfeo, che gli scrive per ricordargli che Veltroni, da lui citato, “scrive per il Corriere”. La risposta? “Ma Veltroni è comunista!”. Finezza e nonsense firmati Fiore.
Lo show è appena iniziato, ma la linea è chiara: La pennicanza sarà anche una siesta pomeridiana, ma non per chi siede ai piani alti della tv pubblica. Per loro, il risveglio è già stato piuttosto traumatico.
Personaggi e interviste
Clizia Incorvaia: “Non aspettate uno schiaffo per dire basta. Le botte sono solo il tragico finale”
L’ex concorrente del Grande Fratello Vip firma un monologo potente a “Le Iene”: «La violenza comincia da una frase, da un silenzio. E finisce con la distruzione di sé». Un messaggio chiaro a tutte le donne.

Non fa nomi, ma Clizia Incorvaia ha deciso di parlare. E lo fa dal palco de Le Iene, in prima serata, con un monologo che è un pugno allo stomaco e una carezza per chi ancora non trova la forza di dire basta. «La violenza non inizia con uno schiaffo. Inizia molto prima, con una frase velenosa, con un silenzio imposto, con una voce che si spezza ogni volta che provi a spiegarti». Parole forti, che risuonano nelle case di chi guarda e si riconosce.
La sua storia personale è nota: la separazione nel 2019 dal cantante Francesco Sarcina, padre della sua primogenita Nina, e poi la rinascita accanto a Paolo Ciavarro, con cui si è sposata nel 2024 e da cui ha avuto il piccolo Gabriele. Ma nel suo discorso non ci sono nomi, né accuse dirette. Solo la verità cruda di chi ha attraversato il dolore.
«Ci saranno uomini che ti diranno: “Sei perfetta” e poco dopo ti sminuiranno, ti faranno sentire sbagliata, inutile. Ti faranno credere che l’amore sia questo: montagne russe di gioia e paura, colpa e bisogno». È una fotografia impietosa di certe relazioni tossiche, in cui la donna viene ingabbiata, annullata, trasformata in una versione spenta di sé stessa.
E poi c’è il passo successivo, quello che molte non riescono a compiere: denunciare. «Le nasconderai a chi ti vuole bene, minimizzerai tutto. Anche quando ti diranno di scappare, tu resterai. Perché la vergogna e la paura sono più forti della ragione. E le scuse, quelle dolci, dopo le minacce, sembreranno carezze. Ma non lo sono».
Il suo appello è diretto, acceso, rabbioso nella sua compostezza: «Non aspettate lo schiaffo. Basta con i “ma mi ama”. Basta sopportare relazioni che svuotano. Le botte sono solo il finale tragico. Prima ci sono l’isolamento, il controllo, la degradazione. Serve coraggio, sì. Ma serve anche educare al rispetto. Perché l’amore, quello vero, non toglie: dà. Non distrugge: protegge. E non costringe mai a sacrificare i propri sogni».
Una testimonianza intensa, che risveglia coscienze. E una verità che non si può più ignorare.
Personaggi e interviste
Romina, manchi solo tu… agli auguri: Al Bano compie 82 anni, l’ex moglie lo ignora e lui rosica in diretta
Albano Carrisi festeggia 82 anni e si sfoga in radio: “Romina ancora non mi ha fatto gli auguri, forse non me li merito”. Raccontando i suoi progetti (dal concerto per la pace a Mosca fino ai referendum di giugno), anche se il vero protagonista resta il non detto con Romina. Nostalgia, un po’ di amarezza e la solita voglia di essere al centro della scena. Tra orgoglio e rimpianto, Al Bano regala al pubblico l’ennesima puntata del suo romanzo di vita. E mentre il tempo scorre, la vera domanda resta una sola: Romina, ma un messaggino proprio no?!?

Ospite del programma radiofonico Un Giorno da Pecora su Rai Radio1, il cantante di Cellino San Marco non perde l’occasione per fare un bilancio – tra il serio e il sentimentale – della sua lunga carriera e della sua vita privata. “Compio 82 anni ma me ne sento 14, che è un’età bellissima” dichiara con il suo consueto entusiasmo. Peccato però che, tra le tante telefonate di auguri ricevute – persino dalla “batteria del Viminale” – manchi proprio quella che conta di più: Romina Power.
Una battuta che nasconde un filo di amarezza
Con tono pungente, e nemmeno troppo ironico, Al Bano lancia la frecciatina: “Romina? Ancora non mi ha fatto gli auguri. Forse non me li merito…”. Una frase che suona più come un rimprovero mascherato da rassegnazione, ma che tradisce un’amarezza ben più profonda.
Il tempo che passa, le poesie in regalo e un po’ di nostalgia
Per il suo compleanno, il cantante non ha chiesto regali materiali. Alla compagna Loredana Lecciso e alla sua famiglia ha domandato solo “una semplice poesia da ciascuno”. Un desiderio che lascia intravedere un uomo consapevole del tempo che avanza, desideroso di gesti simbolici più che di feste sfarzose. E mentre lui scherza, il tono è quello tipico di chi sente il peso degli anni… e dei rimpianti.
Il concerto a Mosca per la pace? “Lo faremo, fidatevi di Agapov”
Tra nostalgie sentimentali e acciacchi dell’anima, Al Bano trova anche il modo di rilanciare i suoi impegni internazionali. Il famigerato concerto per la pace a Mosca continua a essere nel suo radar: “Chi me lo ha detto è una persona degna di fiducia, Agapov, che organizza i miei concerti in Russia dal 1986. Mi ha anche mandato gli auguri stamattina”. Insomma, il tour russo resta in programma, almeno nella sua agenda. E alle ironie su questa vicenda, come quelle di Maurizio Crozza che lo ha spesso parodiato, risponde con fermezza (e un pizzico di permalosità): “Crozza mi ha fatto una bella presa in giro? Chiedetelo a lui. Io intanto ci credo”.
Referendum dell’8-9 giugno: “Andrò a votare, ma devo ancora capire bene”
Impegnato anche sul fronte civico, Al Bano dichiara che parteciperà ai referendum dell’8 e 9 giugno, pur ammettendo di non aver ancora deciso come votare: “Devo informarmi meglio”. Un’uscita che, nella sua semplicità disarmante, racconta l’uomo prima ancora che il personaggio.
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