Spettacolo
Il supermercato della pornografia nel libro della Gruber
Affrontare il tema della pornografia è una esigenza molto sentita. Genitori adulti e figli adolescenti sono coinvolti sempre più spesso su questo argomento di stringente attualità

Affrontare il tema della pornografia è una esigenza molto sentita. Genitori e figli adolescenti sono coinvolti sempre più spesso su questo argomento di stringente attualità. Secondo la giornalista oggi la pornografia è una vera e propria emergenza. Esiste da sempre, è vero, ma non aveva mai assunto una grande eco come oggi. Quest’ultimo libro di Lilli Gruber ‘Non Farti Fottere’ come il supermercato del porno online ti ruba fantasia, desiderio e i dati personali, edito da Rizzoli, è una inusuale inchiesta sul mondo del porno. Secondo l’autrice “(…) non è un problema morale. È un problema sociale e civile che va affrontato. E la prima necessità è parlarne”.
Siamo tutti coinvolti
La pornografia non è più una faccenda per soli adulti “consenzienti e paganti“. Tutt’altro. Oggi sta travolgendo, con contenuti gratuiti e accessibili, anche giovani e, soprattutto, giovanissimi. Sono loro i più vulnerabili. Quelli sedotti e influenzati dal libero accesso e dai mille fraintendimenti a cui vengono sottoposti quotidianamente. Basta un clic. E hai voglia a inserire il “parental control”, a sfuocare le immagini su tutti i device personali e disponibili nelle nostre case. Il problema sollevato dalla giornalista, conduttrice di Otto e Mezzo su La7 , coinvolge le modalità, spesso scorrette, con cui sì vive oggi il sesso, le relazioni, i ruoli di genere. Gruber ipotizza che ormai questo oceano di disponibilità ci abbia travolti talmente tanto da aver già superato il punto di non ritorno.
La confusione è grande. Che fare?
Il facile accesso alle piattaforme che dispongono di migliaia di bouquet tra cui scegliere i propri gusti in tema di porno, rischia di sviare il vissuto dei nostri giovani. La confusione è grande, perché i grandi non sanno, tranne rare occasioni, affrontare l’argomento a livello famigliare. E i ragazzi non hanno l’esperienza per discernere e resistere al bombardamento a cui sono sottoposti. Il rischio, elevato, è che le nuove generazioni, dalla pubertà in su, confondano l’amore con la sessualità e quest’ultima con la pornografia. Una miccia che porta spesso a conseguenze che sfociano in gesti criminali. Manca una educazione ai sentimenti, all’approccio all’altro genere, indicazioni per poter vivere una sessualità senza tabù. E possibilmente graduale.
“Troppo porno, e troppo presto”
La pornografia non è un’educazione sessuale e per paradosso allontana i ragazzi dalla scoperta del proprio corpo e quello dell’altro, scrive la Gruber. “È la peggior forma di diseducazione sessuale. Brevi video di sesso con performance e misure estreme, e un unico focus, la penetrazione. In un sondaggio americano, il 27% dei giovani intervistati era convinto che il porno fosse una rappresentazione realistica del modo in cui fanno sesso la maggior parte delle persone”.
La facile accessibilità è uno degli argomenti chiave per cercare di trovare una soluzione possibile per arginare il fenomeno soprattutto a livello giovanile. Per dare una regolata bisognerebbe evitare la gratuità ma finora, dice la giornalista “(…) i tentativi fatti in questo senso sono falliti. E d’altra parte la censura richiederebbe un enorme sforzo legislativo internazionale. La soluzione non è censurare il porno, è parlarne molto di più“.
Gang-bang un incitamento allo stupro di gruppo?
Uno degli argomenti più richiesti sulle diverse piattaforme di porno online è gang-bang. Secondo l’autrice e una delle forme di violenza a cui si ricorre nei casi di stupro che spesso vengono a galla nelle cronache. “Qualcuno dovrebbe spiegare ai fruitori del porno che le penetrazioni multiple in posizioni che andrebbero bene per una contorsionista non sono la via dell’estasi per una donna. Ma non sarà certo il porno a farlo“.
Esiste un porno femminista?
Gruber evidenzia come molte donne oggi sono soggetti della pornografia, anche loro frequentano il mondo dell’hard e spesso le attrici rivendicano con fierezza la loro scelta. Inoltre sono nate case di produzione tutte al femminile che gestiscono e guadagnano in proprio. Ma è una conseguenza dell’emancipazione femminile, o stiamo tornando indietro? “Ci sono donne che rivendicano la propria scelta ,quelle che “ce l’hanno fatta”. Ma la verità è che oggi la “carriera” di attrice porno è comunque breve e avvilente. Il porno femminista, invece, è un’esperienza politicamente significativa, ma è una nicchia. Uno specchietto per le allodole“.
L’equivoco esploso sui social
Indubbiamente oggi le ragazze stanno trovando un rapporto più libero con il proprio corpo, e questo è un bene. Con OnlyFans, per esempio, molte maggiorenni ci guadagnano. Ma posare nude sui social è anche un boomerang. “Non tutte sanno quel che fanno“, prosegue Lilli Gruber. “Molte ragazze si descrivono come “soggetti sessuali”, libere di esibirsi. “Ma una volta che la tua foto nuda o il tuo video hard è in rete, non la governi più. Diventa un oggetto, e non puoi farci niente. Le stesse ragazze che non andrebbero a friggere gratis patatine da McDonald ’s: perché allora forniscono gratis il proprio culo a Pornhub?“, si chiede la giornalista. “Perché sono vittime di una strategia di distrazione di massa per cui ci viene presentato come cool, o sexy. Ma nude e col prosciutto sugli occhi, quella non è una buona posizione per affrontare il mondo“.




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Musica
Victoria Beckham: «Da ragazzina mi chiamavano stupida e mi tiravano lattine». Il bullismo, la dislessia che l’ha resa più forte
Ospite del podcast Call Her Daddy, Victoria Beckham rivela le ferite mai guarite del passato: bullismo, acne, dislessia e la sensazione di sentirsi “sbagliata”. «Quell’esperienza mi ha temprata, mi ha preparato alla cattiveria dei media».
Dietro la perfezione di Victoria Beckham c’è una ragazza che ha conosciuto la crudeltà e la solitudine. A raccontarlo è lei stessa, senza filtri, nel podcast Call Her Daddy. «Ero una bambina e un’adolescente un po’ strana» dice, ricordando gli anni in cui sentirsi diversa sembrava una colpa.
«A scuola ero vittima di bullismo. Gli altri ragazzi dopo le lezioni fumavano, uscivano, io andavo a danza o a teatro. Non riuscivo a integrarmi».
A rendere tutto più difficile c’erano anche l’acne, i capelli piatti e l’insicurezza. «Ricordo quando ero nel cortile della scuola, tutta sola, e i bambini raccoglievano le lattine di Coca-Cola dalle pozzanghere per tirarmele addosso. È stato umiliante».
Un dolore amplificato dalle difficoltà scolastiche: «Guardando i miei figli ora mi rendo conto di essere dislessica e di soffrire di discalculia. All’epoca però non si parlava di queste cose. Mi chiamavano semplicemente “stupida”».
Nemmeno il college fu un rifugio. «Mi dissero che non ero abbastanza brava o bella, troppo grassa per salire sul palco». Un giudizio che avrebbe potuto distruggerla, ma che invece l’ha resa più determinata. «Quel bullismo mi ha preparata a quello dei media» racconta. «Mi ha temprata».
Oggi, a cinquant’anni, Victoria Beckham è icona di stile e fondatrice di un marchio di moda di successo, ma non dimentica la ragazzina insicura che era. «Allora non si parlava di salute mentale come si fa oggi. Io cercavo solo di sopravvivere, di restare me stessa».
Dietro l’immagine impeccabile della Posh Spice resta così la forza di una donna che ha trasformato la vergogna in disciplina e le ferite in eleganza. Perché la vera bellezza — quella che resiste — nasce sempre da un difetto accettato.
Musica
Sabrina Salerno: «La terapia ormonale è dura, ma continuo a ballare». Dopo il tumore, la cantante si racconta
Scoperto in tempo grazie alla prevenzione, il tumore di Sabrina Salerno non ha richiesto chemioterapia. Oggi l’artista affronta gli effetti delle cure ormonali, ma non perde entusiasmo: «Mi chiedo come nel 2025 non si sia ancora trovata una terapia più leggera».
Sabrina Salerno non si ferma. A un anno dalla diagnosi di tumore al seno, la cantante e showgirl è tornata in scena con la stessa grinta che l’ha resa un’icona degli anni ’80. Lo scorso luglio il singolo, Bollente, realizzato in collaborazione con Ludwig (Ludovico Franchitti), ha rappresentato un inno all’energia e alla rinascita. Ma dietro la luce del palco c’è anche il racconto di una battaglia personale.
Nell’agosto 2024 Sabrina aveva rivelato ai suoi follower di aver scoperto un nodulo maligno al seno. Una lesione non palpabile, individuata grazie a una mammografia di routine. «È stata la prevenzione a salvarmi» aveva scritto sui social. Diagnosticato in fase iniziale, il tumore non ha richiesto chemioterapia ma solo radioterapia mirata.
Oggi la cantante sta affrontando una terapia ormonale specifica, necessaria per prevenire recidive. «Mi chiedo come mai nel 2025 non si sia ancora trovato un metodo per far andare le cose meglio» ha raccontato in un’intervista a Libero Quotidiano, denunciando le difficoltà e gli effetti collaterali del trattamento. Una testimonianza sincera che mette in luce la necessità di continuare a investire nella ricerca.
Nonostante tutto, la sua carriera non si è mai fermata. «Continuo a lavorare, a fare musica e a crederci» ha dichiarato con il sorriso che l’ha sempre contraddistinta. Bollente è un brano ironico e sensuale, ma anche simbolico: racconta la voglia di restare viva, di muoversi, di non lasciarsi definire dalla malattia.
Sabrina non parla solo di sé. Nella stessa intervista ha espresso stima per Elodie, Alfa, Jennifer Lopez e Cher, donne che, come lei, hanno trasformato la sensualità in linguaggio artistico. «Il corpo è uno strumento di comunicazione, non un tabù» ha detto.
Tra forza, ironia e consapevolezza, la Salerno dimostra ancora una volta che si può essere fragili e indistruttibili allo stesso tempo.
Musica
Addio a Ornella Vanoni: la voce senza tempo
Dal Piccolo Teatro di Strehler alle “canzoni della mala”, dall’amore artistico con Paoli al Brasile di Vinícius e Toquinho, dal jazz alle collaborazioni con le nuove generazioni: Ornella Vanoni ha incarnato eleganza, fragilità, sensualità e autoironia come nessun’altra. Il suo percorso è la storia di una donna che ha attraversato il tempo senza inseguirlo, reinventandosi sempre, senza mai perdere profondità.
Pensare a Ornella Vanoni come a un capitolo chiuso sembra quasi impossibile. La sua voce, il suo modo di muoversi, quella grazia un po’ storta e irresistibile erano diventati parte dell’identità emotiva del Paese. Ieri, nella sua casa di Milano, l’artista ci ha lasciati a 91 anni, dopo una vita che non è stata mai una linea retta ma un paesaggio: vasto, irregolare, bellissimo.
Da bambina timida, segnata dall’acne e dal desiderio concreto di diventare estetista, Ornella è cresciuta tra gli spostamenti della guerra e i collegi. A Milano scopre il palcoscenico, l’unico luogo in cui sente davvero di respirare. Il Piccolo Teatro la accoglie e Giorgio Strehler la vede subito: una fragilità luminosa, un magnetismo naturale, una sincerità che nessuna tecnica avrebbe potuto insegnarle. Fu un amore artistico e umano intenso, complesso, formativo.
Poi arriva il debutto musicale negli anni Cinquanta: Ornella canta le “canzoni della mala” scritte da Dario Fo, e lo fa con un tono sospeso tra ironia e tragedia. Il pubblico non era pronto, ma lei sì. Non gridava: esisteva. Ed esistere, per lei, era già rompere un confine.
Negli anni successivi incrocia Luigi Tenco, con la malinconia dolce dei grandi fragili, e Gino Paoli, l’incontro che cambia tutto. Da lui nasce Senza fine, manifesto perfetto del suo modo di stare al mondo: elegante, sospeso, inafferrabile. Da quel momento, teatri e televisioni diventano casa: Ornella occupa lo spazio con una naturalezza che nessuno aveva prima.
Nel 1976 decide di cambiare tutto e sceglie il Brasile. Toquinho, Vinícius de Moraes, la musica che le somiglia: calda, levigata, malinconica. La voglia la pazzia l’incoscienza l’allegria è uno dei vertici della sua carriera, la sua vera seconda nascita. Subito dopo arriva il jazz, il territorio dei musicisti più esigenti. Hancock, Garbarek, tutti la accolgono come un’uguale.
Infine l’ultima Vanoni, quella diventata icona pop inattesa negli anni Duemila: ironica, lucidissima, capace di parlare di morte come di una vecchia amica; capace di giocare con Fazio, litigare con mezzo mondo dello spettacolo e scegliersi Ditonellapiaga ed Elodie per l’album Diverse. Su Instagram, ogni suo video è una masterclass di stile involontario.
Ornella Vanoni non è mai appartenuta a nessuno. Era una donna che viveva la sensualità con naturalezza, senza ostentarla né reprimerla. Ha aperto strade senza proclami, ha scardinato tabù con la semplicità di chi non ha nulla da dimostrare. La sua voce resta: vellutata, malinconica, consapevole, sempre un passo più avanti del sentimento comune.
E mentre l’Italia la saluta, resta una sensazione che nessun addio può cancellare: Ornella non se ne va davvero. Perché certe voci non appartengono al tempo. Appartengono alla vita. E la sua, fino all’ultimo, è stata un’opera aperta. Senza fine.
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