Televisione
Lo “iettatore” di Avanti un altro, fra pregiudizi, disillusioni e un ruolo incollato addosso
Da anni presenza fissa nel cast di personaggi di Avanti un altro, il programma condotto da Paolo Bonolis. Una storia artistica, la sua, conosciuta dalla maggior parte dei telespettatori per il personaggio iconico di “posta-sfortuna”. Oggi svela i retroscena della sua vita e carriera. Attraverso l’analisi delle sue esperienze, dall’infanzia alle avventure nel mondo del cinema, l’attore condivide un percorso intriso di passione, sfide e una profonda riflessione personale.
La storia di Franco Pistoni rappresenta un classico percorso di identificazione con uno specifico personaggio. Quello che ricorda molto la figura di Totò nella sua interpretazione de La patente di Pirandello (contenuta nel film Questa è la vita del 1954). Ma Pistoni è tanto altro… e ci tiene a ribadirlo in una recente intervista rilasciata al sito Fanpage.it, raccontando i pregiudizi subiti, la sua brillante e poco conosciuta carriera, le poesie che scrive per la figlia Chandra, il rapporto con Paolo Bonolis, la disillusione politica, la sua visione della morte e il rifiuto della mondanità. E sul suo futuro in TV e al cinema per il quale dichiara senza timore: “Confesso che se potessi ritirarmi lo farei più che volentieri”.
Nel 2012 entra nel cast di Avanti un altro nel ruolo dello Iettatore, un personaggio del quale lui sottolinea: “Con precise radici pirandelliane, dove si narra dei giudizi superficiali che ancora oggi vengono applicati a ciò che ci sembra diverso, esteriormente e non, negli altri. Per il vestiario ci si è ispirati al film interpretato da Totò e io fui contattato perché, al cinema, avevo interpretato un paio di Iettatori: in ‘O Re di Luigi Magni e in Tutti al mare di Matteo Cerami.”
Anche in film famosi
Originario di Rieti, l’attore vanta una carriera ricca di esperienze di prestigio. Era nel cast di film del calibro de Il nome della rosa di Jean-Jacques Annaud e Le vie del Signore sono finite di Massimo Troisi. Due apparizioni di prestigio che vanno a sommarsi a quarant’anni di teatro. Franco Pistoni oggi ha 68 anni e di cose nel mondo dello spettacolo – ma anche nella vita vera – ne ha vissute tante. Come i pregiudizi che hanno accompagnato la sua adolescenza, l’arte della recitazione che ha impreziosito le sue giornate, la sua visione della morte, il rifiuto della mondanità e il desiderio di ritirarsi dalle scene.
Figlio di un deportato
Dice: “Ero considerato uno stravagante, uno strano fino a quando non partecipai al mio primo film, Il nome della Rosa. Da allora diventai quello che aveva lavorato con Sean Connery. Mi dichiaravo di sinistra, oggi la politica mi annoia ma ovviamente sono sempre per la difesa dei diritti e della libertà. La destra di Giorgia Meloni? Sono figlio di un deportato nei campi di concentramento in Germania, mai mi avvicinerei a certe folli decadenze”.
Bambino molto riservato nei tumultuosi anni ’60
Alla domanda su che genere di bambino fosse nell’infanzia, risponde: “Erano gli anni ’60, un’apoteosi di fisicità, si giocava in strada, ci si arrampicava sugli alberi, il bagno nei fiumi, si apparteneva a una tribù. Il tutto condito da affascinanti stimoli culturali: l’enciclopedia comprata a rate, la musica che si strimpellava nei garage. Ecco, la mia infanzia si è svolta in questi territori variopinti pur essendo sempre stato, contemporaneamente, un bimbo molto riservato e introspettivo.”
L’ottusità della cultura provinciale
Durante l’adolescenza Pistoni ha dovuto fare i conti con alcuni vergognosi pregiudizi. Un padre addirittura picchiò la figlia dopo averla vista in sua compagnia. Un ricordo che è rimasto indelebilmente stampato nella sua memoria: “Sì, era sera e riaccompagnai una ragazza a casa dopo essere usciti dalla sede di una “radio libera”: il padre non gradì la mia cortesia… Ero figlio della mia generazione, capelli lunghi, artista, indossavo l’orecchino e quindi pagavo, insieme ai miei coetanei, l’ostracismo di quella società che ci stava stretta soprattutto in provincia”.
Il valore assoluto del teatro
L’attore si accende quando gli si parla del mondo dello spettacolo: “Ricordo che il sabato sera, in una specie di ritualità, le famiglie si riunivano nella casa di chi possedeva un televisore e si guardavano varietà e sceneggiati. Mi colpiva la differenza che percepivo tra gli attori: c’era chi appariva falso e chi vero nel recitare, perché era il personaggio. Un circolo anarchico che frequentavo organizzò un seminario con il Living Theater e lì misi in pratica questo sentire, questo vivere realmente il personaggio. Percepivo una sacralità, una religiosità nel recitare. Scoprii che il teatro non era intrattenimento ma una vera disciplina atta a trasmettere interrogativi alti.”
Fianco a fianco di alcuni mostri sacri
Avendo avuto, in carriera, il privilegio di avvicinare sul set personaggi del calibro di Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman e Massimo Troisi, li ha sempre osservati con una curiosità particolare, soprattutto dal punto di vista umano. Di loro dice: Ha dei ricordi particolari legati a questi maestri del cinema Italiano? “Mi attraeva soprattutto osservarli umanamente. Persone che venivano considerate simili a Dei ma che percepivo, al contrario, essere possedute da una fragilità sconcertante. Certo, in scena erano mostruosamente padroni del mestiere ma, spenti i riflettori, mi incuriosivano di più: vederne l’uomo, l’essere umano, il mortale e, devo dire, siamo tutti uguali.”
Il suo giudizio sulla televisione
Sulla televisione, che attualmente rappresenta il suo luogo di lavoro, dice: “Potrà sembrare paradossale ma da anni per me la televisione è solo un elettrodomestico come il frigorifero, soprattutto di questi tempi in cui è diventata un’incantatrice ipnotizzante e imbarazzante oltre che un mezzo di propaganda. Confesso che se potessi ritirarmi lo farei più che volentieri.”
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Televisione
Perché Roberto Bolle non è mai stato ad Amici: l’invito c’è stato, la risposta arriva da Cattelan
Ospite di Alessandro Cattelan, Roberto Bolle rompe un piccolo tabù televisivo e spiega perché non è mai stato ad Amici. Altro che rifiuti o snobismi: gli inviti ci sono stati, ma il calendario e la Rai hanno sempre inciso più di ogni altra cosa.
La domanda prima o poi doveva arrivare, e quando arriva passa sempre per la via più diretta. Alessandro Cattelan la piazza senza troppi giri di parole: perché Roberto Bolle non è mai stato ad Amici di Maria De Filippi? Una curiosità che circola da anni, tra pubblico, addetti ai lavori e appassionati di danza. La risposta, però, è molto meno polemica di quanto qualcuno immaginasse.
Bolle, un po’ imbarazzato ma sorridente, mette subito le cose in chiaro: “No, devo dire la verità, mi è stato anche chiesto di andare. Non come cast o professore, come ospite”. Fine del mistero sugli inviti mancati: Amici ha bussato alla porta del ballerino più famoso d’Italia, e non una volta sola.
Gli inviti ci sono stati
Il punto non è mai stato un no ideologico o una distanza dal format di Maria De Filippi. Bolle lo dice chiaramente, sgombrando il campo da qualsiasi lettura maliziosa. Nessuna proposta di entrare nel cast fisso, nessuna cattedra da professore, solo inviti come ospite. Insomma, il classico passaggio celebrativo che molti si aspettavano da tempo.
Il nodo Rai e il calendario
Il motivo dell’assenza, spiega Bolle, è molto più pratico che simbolico: “Ancora non ci sono stato principalmente perché ho sempre fatto il programma su Rai Uno ed è sempre capitato in quel periodo”. Una questione di tempi televisivi che si sovrappongono, più che di scelte editoriali. In particolare, aprile torna come un mese chiave, spesso occupato dagli impegni Rai legati alla danza.
La giornata della danza come spartiacque
Bolle cita un esempio preciso: “Ad esempio ad aprile per la giornata della danza”. Un appuntamento che per lui è diventato quasi una tradizione televisiva su Rai Uno, difficile da aggirare senza creare conflitti di palinsesto. Quando Amici è in piena corsa, lui è già impegnato altrove, sotto un’altra insegna.
Nessun veto, solo incastri mancati
Il racconto restituisce un quadro molto più semplice di quanto si sia detto negli anni. Nessun veto incrociato, nessuna rivalità tra reti, nessuna presa di distanza dal talent più longevo della tv italiana. Solo una serie di coincidenze che, stagione dopo stagione, hanno reso impossibile quell’incontro tanto atteso.
Alla fine, la risposta di Bolle smonta il mito dell’assenza “scelta” e lo riporta su un terreno concreto: quello dei palinsesti. E lascia aperta una possibilità implicita. Perché se gli inviti ci sono stati e il problema è sempre stato il calendario, allora non è detto che, prima o poi, quel debutto ad Amici non possa davvero accadere.
Televisione
Da Striscia a Realpolitik: Vittorio Brumotti riparte da Rete 4 e diventa presenza fissa del talk di Labate
Archiviata l’esperienza a Striscia la Notizia, Vittorio Brumotti trova una nuova collocazione televisiva. Dal 19 novembre è una presenza fissa di Realpolitik, il talk politico condotto da Tommaso Labate su Rete 4, segnando un cambio di passo netto nella sua carriera televisiva.
C’è chi sparisce dai radar e chi, invece, cambia campo e riparte. Vittorio Brumotti ha scelto la seconda strada. Dopo la “cacciata” da Striscia la Notizia, l’ex inviato simbolo del programma satirico di Canale 5 è riapparso in modo tutt’altro che timido su Rete 4, diventando una presenza fissa di Realpolitik, il talk politico condotto da Tommaso Labate in prima serata.
L’approdo è datato 19 novembre, una data che segna uno spartiacque televisivo per Brumotti. Niente più servizi in bici, niente blitz ad alta adrenalina: il contesto è quello del confronto politico, della discussione in studio, dei temi caldi dell’attualità. Un cambio di registro che non passa inosservato.
Addio Striscia, senza nostalgie pubbliche
L’uscita da Striscia la Notizia è stata tutt’altro che morbida e ha fatto discutere. Brumotti, però, ha evitato polemiche plateali e regolamenti di conti in diretta. Nessuna lunga autodifesa, nessun racconto dettagliato del retroscena. Il passaggio a Realpolitik sembra piuttosto una risposta indiretta: voltare pagina, mostrando un’altra versione di sé.
Il nuovo ruolo a Realpolitik
Nel talk di Tommaso Labate, Brumotti non è una semplice comparsa. La sua presenza è ormai stabile e riconoscibile, inserita in un contesto che richiede interventi più misurati e meno istintivi rispetto al passato. Il programma, abituato a ospitare politici, analisti e giornalisti, assorbe la sua figura in modo diverso, mettendolo alla prova su un terreno più istituzionale.
Da inviato d’assalto a volto da studio
Il salto è netto. Per anni Brumotti è stato identificato con l’azione, con l’irruzione, con la denuncia spettacolarizzata. A Realpolitik il ritmo è un altro: contano le parole, le posizioni, la capacità di stare dentro una discussione senza forzarla. Un banco di prova che racconta la volontà di non restare incasellato in un solo ruolo televisivo.
Rete 4 come nuova casa
La scelta di Rete 4 non è casuale. La rete negli ultimi anni ha puntato forte sull’informazione e sul dibattito politico in prima serata, costruendo un pubblico fedele e molto identitario. Inserire Brumotti in questo contesto significa offrirgli una seconda chance televisiva, lontana dalla satira e più vicina al racconto diretto dell’attualità.
Il percorso è appena iniziato, ma il segnale è chiaro: Brumotti non è scomparso dopo Striscia. Ha cambiato palco, linguaggio e pubblico. E, nel bene o nel male, è tornato a farsi vedere.
Televisione
“Sarà Sanremo” dal Casinò: i Big sfilano, rivelano il titolo e svaniscono. J-Ax porta la busta e punge
È il rito di “Sarà Sanremo”: passerella rapida, «Ciao, ci vediamo a febbraio» come mantra. Tra autobiografie (Raf), nomi nuovi bollati sui social e la busta di J-Ax, spuntano frasi-meme e mantri d’autore: titoli rivelati, emozioni promesse, poi tutti via.
Dal Teatrino del Casinò di Sanremo va in onda “Sarà Sanremo” e l’effetto è quello di una sfilata senza brividi: i Big entrano, rivelano il titolo del brano e spariscono. «Ciao, ci vediamo a febbraio», il mantra. Un assaggio rapidissimo che sembra più un appello che un’anteprima.
A rompere il ghiaccio è Raf. «Voglio divertirmi», dice, ricordando che per lui è la quinta volta all’Ariston e che «l’ultima è stata nel 2015, sempre un festival targato Conti». Il pezzo si intitola Ora e per sempre e racconta «la storia d’amore di due persone che si sono conosciute negli anni 80 e si confrontano con un mondo completamente cambiato». Carlo Conti chiede: «Leggermente autobiografica?». Raf risponde: «Molto».
Nuovi nomi, vecchia etichetta: “illustri sconosciuti”
Tra i trenta, a suscitare più curiosità sono Samurai Jay, Sayf, Nayt, Eddie Brock e Bambole di Pezza, inseriti tra i Big. Magari sono fenomeni, ma la reazione vista sui social è sintetica: “illustri sconosciuti”. Più che giudicare, in molte case si prova prima a “riconoscere”.
J-Ax e la busta “starter pack” che salva il ritmo
In una serata fatta di titoli detti al volo, J-Ax prova a fare scena con Italia starter pack e una busta in mano per spiegare cos’è un pacchetto base. Poi la stoccata su Conti: «Nel pacco di Conti c’è la camomilla, la tessera per il centro abbronzatura e le scaldaorecchie per non sentire le mia stonature». È uno dei pochi momenti che spezza davvero la liturgia.
Tra corsa, sogni e mantri: le frasi che restano
Tredici Pietro, un disco di platino e prima volta al Festival, dice che si prepara correndo (come il papà Gianni Morandi) e andando dal fisioterapista. Il titolo è Uomo che cade. «Per il poco che so della vita è tutto nel percorso… abbiamo questo brutto vizio, noi esseri umani, di non accontentarci». Patty Pravo, all’undicesimo Festival, alla domanda su come si prepara risponde: «Vengo, mi vesto, canto». Il suo brano è Opera, nata «in un sogno, perché tutti noi siamo delle opere d’arte».
Sesto festival per Malika Ayane: «Canto Animali notturni, siamo tutti noi». Conti chiude con una battuta asciutta: «Io di solito dormo». E nel finale arrivano Fedez e Marco Masini con Male necessario. «È un mantra per ricordare che le tempeste che si affrontano possono essere opportunità», spiega Fedez. Masini si aggancia: «Passare dal dolore è importante per riconoscere la felicità». Poi di nuovo il saluto e la sparizione: ci vediamo a febbraio.
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