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Non è mai troppo tardi per rapinare: a 75 anni mette a segno due colpi in uffici postali a Bergamo
Un pensionato con metodi da film: prima la bottiglia di alcol, poi lo spray al peperoncino. L’anziano rapinatore siciliano, residente in Lombardia, è stato identificato e messo agli arresti domiciliari dopo mesi di indagini.

Non si è mai troppo vecchi per sorprendere. E a Bergamo, un 75enne originario della Sicilia ma residente da anni nella provincia lombarda, ha deciso di riscrivere il copione dei colpi da film noir con due rapine degne di un manuale del crimine improvvisato.
Le sue imprese, consumate in due uffici postali a distanza di pochi mesi, sono culminate con l’arresto da parte dei carabinieri, che hanno ricostruito i dettagli dei colpi e notificato all’uomo un’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari.
Il primo colpo: la bottiglia di alcol
Il debutto nella sua “carriera” di rapinatore risale al 12 giugno, quando l’uomo si è presentato all’ufficio postale di Pedrengo con il volto coperto. Come arma, non aveva né pistole né coltelli, ma una bottiglia di alcol. Con un gesto plateale ha spruzzato il liquido sul bancone, minacciando i presenti di appiccare il fuoco.
Tra lo sgomento generale, il 75enne si è fatto consegnare 380 euro in contanti prima di fuggire. Una scena da noir anni ’50, ma con una punta di creatività alla “fai da te”.
Secondo atto: lo spray al peperoncino
Non contento del primo colpo, il pensionato ha alzato la posta il 13 agosto, prendendo di mira l’ufficio postale in viale Giulio Cesare. Stavolta ha optato per una bomboletta di spray al peperoncino, sempre con il volto nascosto da una mascherina e un cappellino.
Dopo aver minacciato la direttrice, si è fatto consegnare 830 euro in contanti. Anche in questa occasione, è riuscito a dileguarsi, lasciando dietro di sé solo il caos e l’odore pungente dello spray.
Le indagini e l’arresto
Per mesi, i carabinieri hanno lavorato per dare un volto al rapinatore insospettabile. Analizzando le telecamere di sorveglianza e incrociando i racconti dei testimoni, sono riusciti a risalire al 75enne, che viveva tranquillamente in provincia.
Quando le forze dell’ordine si sono presentate alla sua porta con l’ordinanza di custodia cautelare, la sorpresa è stata doppia: non solo per l’età avanzata del colpevole, ma anche per la sua apparente normalità.
Un’insolita carriera criminale
L’arresto del 75enne solleva interrogativi sulla sua motivazione. Un gesto disperato? Una vena di audacia tardiva? O magari il semplice desiderio di un “brivido” in un’esistenza monotona?
Per ora, ciò che resta è la cronaca di due colpi che, pur non essendo particolarmente lucrosi, hanno lasciato il segno per la loro originalità. E chissà, magari il pensionato di Bergamo diventerà una figura di culto per qualche sceneggiatore in cerca d’ispirazione.
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Cronaca
Amanda Knox, dall’inferno giudiziario al palco comico: «Tra carcere e serie tv, la maternità è stata la fase più dura»
Sul palco del Tacoma Comedy Club, nello Stato di Washington, Amanda Knox ha trasformato il dramma della sua vicenda giudiziaria in materiale da stand-up. Dal ricordo delle sbarre di Perugia alle notti insonni da madre, fino al gioco della figlia che imita la prigionia: «La vita sembra scritta da un commediografo pazzo».

Amanda Knox, 38 anni, è tornata sotto i riflettori, ma non più come protagonista di un processo che ha tenuto il mondo col fiato sospeso. Questa volta è stata lei a scegliere la scena: il palco di un comedy club nello Stato di Washington, a due passi da casa sua, dove ha portato in scena uno spettacolo che mescola ironia e traumi, ricordi dolorosi e battute che strappano risate liberatorie.
La ragazza di Seattle diventata il volto di uno dei casi giudiziari più seguiti di sempre ha deciso di raccontare la sua vita in tre atti. Il primo, i quattro anni trascorsi nel carcere di Perugia, tra accuse, processi e titoli di giornale. Il secondo, quelli passati a collaborare con Hulu per la serie The Twisted Tale of Amanda Knox, che ha provato a ricostruire la sua vicenda mediatica e giudiziaria. E il terzo, forse il più complicato: la maternità. «Di tutte queste fasi – ha detto sul palco – quella da madre è la più difficile».
Con tono autoironico, Knox non ha esitato a scherzare anche sul processo per l’omicidio di Meredith Kercher, la coinquilina britannica uccisa a Perugia nel 2007. All’epoca lei era una studentessa in scambio, appena arrivata in Italia, e dopo una settimana di relazione con Raffaele Sollecito si ritrovò in carcere. Quattro anni dietro le sbarre, poi la definitiva assoluzione nel 2015. Oggi quelle ombre diventano materiale per gag, pur restando un peso che non si cancella.
La parte più applaudita dello show è arrivata con il racconto della figlia. La bambina ha inventato un gioco chiamato “La mamma va in Italia”: si aggrappa alle sbarre del parco giochi e grida «Fatemi uscire!». Knox sorride amaro e commenta: «La mia vita continua a trasformarsi in una commedia scritta dalle circostanze».
Dal buio delle celle umbre alla leggerezza di un palco da cabaret, Amanda Knox cerca così una nuova identità: non più simbolo di un processo infinito, ma narratrice del proprio destino. Stavolta con il microfono in mano e il pubblico dalla sua parte.
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George Clooney salta la conferenza stampa a Venezia per una sinusite ma non rinuncia al red carpet
Alla Mostra del Cinema la poltrona con il suo nome è rimasta vuota: Clooney è rimasto al Cipriani, ufficialmente per una grave sinusite. La defezione non ha fermato la curiosità dei fan, che lo hanno visto sfilare il giorno prima con Amal. Baumbach commenta con ironia: “Succede a tutti, anche a loro”.

Il forfait che nessuno voleva si è materializzato nella sala delle conferenze stampa della Mostra del Cinema di Venezia. George Clooney, attesissimo protagonista del film in concorso Jay Kelly, non si è presentato accanto al regista Noah Baumbach e al resto del cast. La motivazione ufficiale: una grave sinusite che lo avrebbe costretto a restare nel suo alloggio veneziano, il Belmond Hotel Cipriani, sull’isola della Giudecca.

A tradire l’assenza non è stato solo il brusio dei fotografi, ma la sedia con il cartellino “George Clooney” rimasta clamorosamente vuota. Poco dopo è arrivata la conferma definitiva: l’attore ha fatto sapere di essere “molto dispiaciuto” per l’inconveniente e di non poter prendere parte all’incontro con i giornalisti.


Un’assenza che ha spiazzato pubblico e stampa, abituati a vedere Clooney padrone delle scene. A stemperare i toni ci ha pensato il regista, Noah Baumbach, che ha sorriso commentando: «Anche le star del cinema si ammalano». Un tentativo di sdrammatizzare che ha strappato qualche risata, ma non ha cancellato la delusione.
La sinusite non ha però impedito a Clooney di mostrarsi in grande stile sul red carpet della sera precedente, accanto alla moglie Amal. Smoking impeccabile per lui, abito lungo color champagne per lei: il tappeto rosso aveva visto la coppia sorridere, firmare autografi e dispensare charme ai fotografi. Ed è proprio questo dettaglio che ha fatto nascere ironie: per la stampa niente voce, per i flash invece energia sufficiente a reggere passerella e applausi.


Ora resta da capire se la malattia lo terrà lontano dalle luci della ribalta anche nelle prossime ore o se l’attore riuscirà a concedere nuove apparizioni pubbliche prima della fine del festival. Nel frattempo, la sua assenza in conferenza è diventata una delle notizie del giorno: un piccolo inciampo che conferma quanto Clooney resti comunque al centro della scena, anche quando il colpo di scena non lo scrive la sceneggiatura ma il raffreddore.
Personaggi e interviste
Elio Finocchio è il “gay più bello d’Italia”: «Il mio cognome? Me lo tengo. Cambiarlo sarebbe stato una sconfitta»
Dipendente dell’Hard Rock Café, due volte volto delle campagne contro il bullismo, Finocchio spiega perché non ha mai pensato di rinunciare al cognome. «Mio padre mi propose di cambiarlo, ma significava non essere più parte della famiglia». E sulle app di incontri: «Tutto ridotto all’osso, come un fast food».

Una fascia, un cognome e una storia che si porta dietro da sempre. Elio Finocchio, 37 anni, romano, dipendente dell’Hard Rock Café, è stato incoronato “gay più bello d’Italia”. Un titolo che accoglie con orgoglio e ironia, consapevole che il suo nome – da sempre facile bersaglio di battute – è diventato parte integrante della sua identità. «È una cosa che nasce con me, me la porto da quando ero piccolo e mi ha fatto crescere immediatamente. Se non avessi reagito allora, oggi non sarei qui», racconta.






La vittoria ha riportato la corona nel Lazio dopo tredici anni. Per lui è soprattutto il simbolo di un percorso di resilienza iniziato quando il padre gli propose, a diciott’anni, di cambiare cognome per evitargli prese in giro. «Gli dissi: “Papà, io non toccherò mai il mio cognome, perché cambiarlo significherebbe non essere più parte della famiglia. Sarebbe stata una sconfitta”». Una scelta che, col tempo, si è trasformata in forza. «Quando qualcuno mi prende in giro oggi è come se mi dicesse: buongiorno, come stai».
La sua prima settimana da “reggente” l’ha definita «una tranvata». Catapultato in interviste, social e riflettori, Finocchio avverte già il peso della responsabilità. «Sento di essere portavoce di una comunità che è sempre nell’occhio del ciclone per i diritti. Ci sta, e si va avanti a testa alta».
Il suo impegno non è nuovo: nel 2007 prestò il volto alle campagne della Gay Help Line e di Diritti Ora, diventando simbolo contro bullismo e discriminazioni. Ma dietro la fascia c’è anche un uomo che sogna una famiglia. «In Italia non mi sento discriminato, ma neanche tutelato appieno. Non mi sento al sicuro: c’è ancora troppa disinformazione, ignoranza e bigottismo».
Sulle app di incontri è netto: «Rispetto chi le usa, ma si è perso l’approccio umano. È tutto ridotto all’osso, come un fast food: voglio questo, me lo prendo. Io preferisco la vita reale, ridere, scherzare, parlare. Lo schermo riduce l’umanità».
Il suo nome oggi corre sui social, tra sfottò e sostegno. Lui sorride, abituato da sempre a convivere con quell’ironia. «Me lo tengo – dice – perché la vera vittoria è non darla mai vinta a chi ti prende in giro».
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