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Cronaca Nera

Omicidio Tramontano, la difesa in appello: “Non fu crudele, voleva solo uccidere il feto”

Secondo l’avvocata Geradini, l’ex barman non avrebbe agito con premeditazione né con crudeltà: “Voleva solo fermare la gravidanza, il delitto fu maldestro e non pianificato”. Ma per la Corte d’assise di Milano aveva pianificato ogni dettaglio.

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    Un omicidio efferato, un femminicidio che ha sconvolto il Paese, un uomo condannato all’ergastolo che oggi cerca di riscrivere i contorni della sua colpa. Mercoledì si riapre a Milano il caso di Giulia Tramontano, la giovane di 29 anni uccisa il 27 maggio 2023 dal compagno Alessandro Impagnatiello, mentre era incinta al settimo mese. Davanti alla Corte d’assise d’appello, la difesa del trentaduenne cerca ora di scardinare le due aggravanti più pesanti della condanna di primo grado: la premeditazione e la crudeltà.

    Per l’avvocata Giulia Geradini, Impagnatiello non sarebbe stato un lucido assassino, ma un uomo in crisi, travolto dal crollo del castello di bugie che aveva costruito intorno a sé. Nessuna pianificazione fredda, nessun piano studiato nei dettagli: solo, secondo la tesi difensiva, un gesto improvviso, nato nel momento in cui le sue menzogne – la doppia vita, la relazione parallela, la gravidanza scomoda – erano giunte al capolinea. “Il delitto – argomenta la legale – fu commesso quando si verificò uno smascheramento irreparabile”.

    A detta della difesa, il comportamento di Impagnatiello dopo l’omicidio dimostrerebbe proprio l’assenza di lucidità: “Ha commesso errori grossolani, maldestri, nel tentativo di nascondere il cadavere e simulare una scomparsa”. Un comportamento che, secondo Geradini, non si concilia con quello di un assassino che ha pianificato ogni passo. E per quanto riguarda la crudeltà? “Giulia non si è resa conto di ciò che stava accadendo. Non ha avuto tempo di difendersi: sul corpo non ci sono segni di reazione. È morta all’istante”.

    La difesa porta in aula una narrazione alternativa: Impagnatiello non voleva uccidere Giulia, ma solo fermare la gravidanza. “Voleva solo uccidere il feto”, ha dichiarato la legale, puntando sulla convinzione dell’imputato di vedere quel bambino come un ostacolo alla propria carriera, alla vita con l’altra donna, al futuro che immaginava per sé. Una motivazione che la Corte d’assise, però, aveva già rigettato con forza, sostenendo che Giulia era perfettamente consapevole di stare morendo insieme a suo figlio.

    Nel processo di primo grado, la sentenza era stata netta: delitto premeditato, preceduto da mesi di somministrazione di veleno (un topicida) da parte di Impagnatiello nel tentativo di indurre un aborto. Un piano lucido, secondo i giudici, che culminò nell’omicidio brutale. Alla famiglia Tramontano era stata riconosciuta una provvisionale di 700mila euro, e all’imputato erano stati inflitti anche tre mesi di isolamento diurno.

    Ora, in appello, si riapre il fronte delle attenuanti generiche. La difesa chiede che vengano riconosciute in base al “contesto personologico” emerso dalla perizia psichiatrica: tratti narcisistici e psicopatici, ma piena capacità di intendere e volere. E invoca le fragilità mostrate da Impagnatiello durante l’interrogatorio: “Ha pianto, ha vacillato. Ha confessato. Non è un mostro, è un uomo devastato”.

    Ma la domanda che aleggia nell’aula è un’altra: si può davvero separare un omicidio dalla sua atrocità solo perché chi lo ha compiuto non è stato abbastanza bravo a nasconderlo? La risposta spetta ora ai giudici d’appello.

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      Cronaca Nera

      La madre di Marco Pantani non si arrende

      Tonina Pantani lancia pesanti accuse sulla morte del figlio: “Non è stato un incidente, è stato ucciso”. Rabbia e dolore contro le istituzioni del ciclismo e il Tour de France.

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        Tonina Pantani, madre del leggendario ciclista Marco Pantani, ha rilasciato dichiarazioni forti e scioccanti sulla morte del figlio. Secondo lei, Marco non è morto per un tragico incidente, ma è stato ucciso. In un’intervista straziante, Tonina ha espresso una rabbia profonda verso le istituzioni del ciclismo, puntando il dito in particolare contro il Tour de France, accusato di aver avuto un ruolo nella tragica fine del “Pirata”. Le sue parole hanno riaperto ferite mai guarite e alimentato nuove discussioni sulle circostanze della morte di Marco Pantani.

        Accuse e dolore di una madre

        Tonina Pantani non ha mai accettato la versione ufficiale sulla morte del figlio, trovandosi spesso sola nella sua battaglia per la verità. Nel corso degli anni, ha raccolto documenti, testimonianze e prove che, secondo lei, dimostrano come Marco sia stato vittima di un complotto. “Non perdonerò mai chi ha distrutto mio figlio”, ha dichiarato, accusando esplicitamente il mondo del ciclismo e le sue istituzioni di aver voltato le spalle a Marco quando più aveva bisogno di supporto.

        Il ruolo del Tour de France

        Particolarmente dure sono le parole di Tonina Pantani contro il Tour de France. Secondo la madre del campione, il prestigioso evento ciclistico avrebbe contribuito a creare un ambiente ostile e pericoloso per Marco, culminato poi nella sua tragica morte. “Il Tour de France ha una parte di colpa in tutto questo”, ha affermato Tonina, sottolineando come le pressioni e le accuse infondate abbiano devastato suo figlio sia mentalmente che fisicamente.

        Una verità ancora da scoprire

        Le accuse di Tonina Pantani riaccendono un dibattito mai realmente chiuso sulla morte del “Pirata”. Nonostante le inchieste ufficiali abbiano concluso che si trattò di un incidente, molti, inclusa la famiglia Pantani, continuano a chiedere giustizia e verità. La determinazione di Tonina a far luce su quanto accaduto a Marco riflette la sua convinzione che vi siano ancora molte zone d’ombra e domande senza risposta.

        L’eredità di Marco Pantani

        Indipendentemente dalle controversie sulla sua morte, Marco Pantani rimane una delle figure più iconiche del ciclismo. Le sue vittorie al Giro d’Italia e al Tour de France, il suo stile unico e la sua personalità carismatica hanno lasciato un’impronta indelebile nello sport. La lotta di Tonina Pantani per la verità non è solo una questione personale, ma anche un tentativo di preservare l’eredità e l’onore di suo figlio.

        La battaglia di Tonina Pantani continua, alimentata dal dolore e dalla determinazione di una madre che non si arrenderà mai finché non avrà ottenuto giustizia per Marco.

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          Cronaca Nera

          Premeditato? Macché, solo 37 coltellate ‘di impulso’ – Ergastolo a Impagnatiello confermato, ma senza aggravante

          Alessandro Impagnatiello condannato all’ergastolo anche in appello per l’omicidio di Giulia Tramontano e del figlio Thiago. Esclusa la premeditazione, confermate crudeltà e vincolo affettivo. Ecco cosa ha deciso el dettaglio la Corte d’Assise d’Appello di Milano pochi minuti fa.

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            La Corte d’Assise d’Appello di Milano ha confermato la condanna all’ergastolo per Alessandro Impagnatiello, ma ha escluso l’aggravante della premeditazione. Una decisione che, pur mantenendo la pena massima, lascia l’amaro in bocca per la sua portata simbolica. Per la giustizia, Impagnatiello ha agito con crudeltà, ha ucciso la compagna Giulia Tramontano, incinta al settimo mese, ma senza pianificare tutto con anticipo. Una sottigliezza giuridica difficile da comprendere per chi osserva dall’esterno la vicenda.

            Una morte orribile: 37 coltellate e il tentativo di farla abortire con il topicida

            ùGiulia, 29 anni, originaria di Sant’Antimo, è stata massacrata con 37 coltellate, alcune al volto, inferte – secondo l’accusa – per sfigurarla. Come tutti ricordano con orrore, portava in grembo Thiago, il bimbo che non ha mai visto la luce. Prima dell’omicidio, Impagnatiello aveva tentato più volte di farla abortire somministrandole topicida. Una crudeltà prolungata nel tempo, culminata in un gesto estremo la sera del 27 maggio 2023, nella loro casa di Senago, nel Milanese.

            Dopo il delitto, un macabro teatrino

            Dopo l’omicidio, Impagnatiello ha tentato di bruciare il corpo nella vasca da bagno e nel box auto, utilizzando alcol e benzina. Poi ha simulato la scomparsa della compagna, presentando denuncia e continuando a scriverle messaggi, come se fosse viva. Il corpo è stato ritrovato avvolto in teli di plastica, in un’intercapedine vicino a casa, solo dopo giorni.

            La difesa: nessuna premeditazione, anzi giustizia riparativa

            L’avvocata difensore Giulia Geradini ha ottenuto l’esclusione dell’aggravante della premeditazione. Ha anche chiesto l’accesso alla giustizia riparativa, prevista dalla riforma Cartabia, anche senza il consenso della famiglia della vittima. Una proposta respinta con forza dalla Procura generale e dai familiari di Giulia

            La sentenza: ergastolo sì, ma “solo” per crudeltà

            Il processo d’appello si è chiuso in appena mezza giornata. I giudici, presieduti da Ivana Caputo con a latere la giudice Franca Anelli, hanno confermato l’ergastolo, ma senza premeditazione. Le aggravanti riconosciute restano la crudeltà e il legame affettivo. Le attenuanti generiche – chieste dalla difesa per la confessione e l’aiuto nel ritrovare il corpo – sono state rigettate.

            Un caso simbolo dei femminicidi in Italia

            Il caso di Giulia Tramontano è diventato simbolo dell’emergenza femminicidi in Italia. Una giovane donna, in dolce attesa, uccisa dal compagno che aveva costruito un “castello di bugie”, come lo ha definito la Procura. E che ha agito con violenza spietata, nel tentativo disperato di salvare solo sé stesso. Ora tutti attendono, con ulteriore curiosità, la lettura tra qualche mese delle motivazioni. Soprattutto per capire come sia stata messo da parte l’aspetto della premeditazione.

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              David Rossi, nuovi dubbi sulla caduta: “Ferite al polso incompatibili con l’impatto, orologio già rimosso”

              Il presidente Vinci: “Il suo orologio si era già staccato prima dell’impatto. Quei tagli sul polso non sono compatibili con la caduta”. Il Ris prepara una simulazione con manichino e oggetti identici. La vedova: “È una boccata d’ossigeno”.

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                La ferita sul polso, due tagli evidenti, il sangue. E un orologio che si è staccato dal braccio di David Rossi prima che il corpo toccasse terra. A undici anni dalla tragica morte del manager del Monte dei Paschi di Siena, precipitato dalla finestra del suo ufficio il 6 marzo 2013, emergono nuovi, inquietanti elementi. È quanto rivelano i lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta guidata da Gianluca Vinci, che nelle ultime ore ha reso pubblici i risultati di una nuova analisi video condotta con software di ultima generazione. Il dettaglio che riapre i dubbi è proprio quello dell’orologio: al momento dell’impatto, Rossi non lo indossava più.

                “Si vede chiaramente – ha spiegato Vinci – la cassa dell’orologio che, dopo l’urto del corpo, viene proiettata verso il muro alle spalle, e si distingue il cinturino, già staccato, cadere vicino a una delle scarpe di Rossi. Due elementi distinti, già separati al momento della caduta”. Un’anomalia, secondo il presidente della Commissione, che apre a nuove domande: “Come può un orologio sganciarsi prima di un impatto così violento? E soprattutto: da cosa derivano quelle ferite sul polso, se non dall’urto con il suolo?”.

                La scena è quella già nota: una caduta silenziosa, pochi secondi nel cortile interno di Rocca Salimbeni, sede storica della banca senese. Ma stavolta, i dettagli fanno la differenza. Il Ris di Roma, guidato dal tenente colonnello Adolfo Gregori, ha analizzato ogni frame di quel video sfocato. E ha cristallizzato sette istanti precisi, in cui l’orologio si divide, la posizione del corpo si altera, e si individuano movimenti inspiegabili. “L’analisi è solo all’inizio – chiarisce Vinci – ma abbiamo deciso di procedere con una simulazione fisica della caduta, utilizzando un manichino e un orologio identico a quello indossato da Rossi. Solo così potremo capire cosa è accaduto davvero”.

                I familiari di Rossi, da sempre convinti che non si sia trattato di un suicidio, accolgono le parole della Commissione con un misto di speranza e sollievo. Antonella Tognazzi, la vedova, ha commentato con voce spezzata: “È una boccata d’ossigeno. Questo è quello che abbiamo sempre detto e per anni siamo stati screditati, derisi, lasciati soli. Ora mi sembra che qualcosa si muova davvero. Speriamo che nessuno fermi questo percorso”.

                Un percorso che ha visto negli anni troppe ombre, troppe omissioni, troppi silenzi. Dall’orario della morte alle tracce biologiche nella stanza, dalle telefonate mai chiarite al contenuto delle mail. Ora spunta anche un orologio spezzato, come se il tempo si fosse davvero interrotto prima di quella caduta. E con esso, l’intera narrazione su cui per anni si è retto il caso.

                La Commissione ha annunciato che proseguirà con nuove audizioni e ulteriori accertamenti tecnici. Ma quel dettaglio – un orologio che vola via prima del corpo – pesa come un macigno su undici anni di domande senza risposta.

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