Cronaca
Emanuela Orlandi ecco i nuovi indizi
il ritrovamento dei tre oggetti dietro la statua dell’Angelo del dolore al Verano apre nuove strade nella risoluzione del mistero di Emanuela Orlandi. La complessità del caso richiede un’analisi approfondita degli indizi e una lettura attenta dei messaggi criptici che potrebbero celare la verità su una delle sparizioni più enigmatiche della storia italiana.

Emanuela Orlandi è un fantasma che ci rincorre dal 22 giugno del 1983. Da oltre 40 anni è entrato nelle nostre case. Con la scomparsa di quella che allora era una ragazza di 15 anni alcuni di noi ci è cresciuto. Anno dopo anno, indagine dopo indagine, rivelazioni dopo rivelazioni, colpi di scena dopo colpi di scena, il mistero della sua scomparsa si è prestato a decine di speculazioni. Perché in fondo all’animo umano, il mistero piace, mette in gioco e rivela parti di noi che non conosciamo. E quindi ogni ritrovamento e frammento di una possibile verità diventa una calamita. Non ci possiamo sottrarre. Questa è la volta di tre inquietanti oggetti-codice ritrovati dietro la statua dell’Angelo al Verano.
Dettagli che inquietano
I tre oggetti sono stati trovati dietro la statua vandalizzata dell’Angelo del Dolore nel cimitero monumentale del Verano. Si tratta di un barattolo di vernice, una chiave d’auto con una sequenza numerica e una moneta. Gli oggetti, ritrovati da studiosi della vicenda, potrebbero fornire quindi nuovi indizi su questo caso ancora irrisolto. Vediamo come.
La statua dell’Angelo del Dolore
L’angelo, realizzato dallo scultore Giulio Monteverde, è situato nella cappella di famiglia al Verano. La particolarità della statua è la fascetta tra i capelli, un dettaglio che richiama l’immagine iconica di Emanuela Orlandi. Nel 2013, la statua fu vandalizzata, un gesto che potrebbe essere un riferimento diretto proprio alla storia della ragazza.
Recentemente, dietro questa statua, sono stati trovati tre oggetti misteriosi. Si tratta di un barattolo di vernice verde arrugginito e svuotato per oltre metà. Quindi una chiave d’auto molto vecchia, con i numeri 1-6-2-6, forse riconducibile a una Fiat di piccola cilindrata o a una Mini degli anni Settanta. E infine una moneta da 100 Lire deteriorata, emessa nel 1956.
I Legami con il Caso di Katy Skerl
La vicenda si intreccia anche con quella di Katy Skerl, uccisa nel gennaio 1984 e la cui bara è stata rubata nel 2013, ritrovata solo nel 2022. Questo caso è stato collegato a quello di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, un altro mistero irrisolto degli anni Ottanta. La presenza di questi oggetti potrebbe quindi rappresentare un messaggio criptico, un indizio nascosto che richiede una lettura attenta.
L’interpretazione del ritrovamento. Cosa significano gli oggetti rinvenuti
Gli oggetti trovati possono essere interpretati in vari modi. La vernice verde potrebbe essere collegata alla “BMW verde tundra” su cui Emanuela sarebbe stata vista salire. La chiave dell’auto potrebbe aprire una porta simbolica o fisica, legata alla risoluzione del mistero. La moneta del 1956 potrebbe riferirsi a un anno con significati nascosti o storici. Ipotesi, illazioni…?
Che ruolo ha Marco Accetti?
Marco Accetti, indagato per il sequestro di Emanuela, ha sempre parlato di messaggi in codice. Ha consegnato un flauto riconosciuto dalla famiglia Orlandi e la sua voce è stata identificata come quella del telefonista “L’Americano”. Accetti ha insistito sull’uso di codici criptati nei suoi racconti, collegando date e numeri agli eventi del caso.
Una commissione parlamentare d’Inchiesta sul caso
La commissione parlamentare d’inchiesta sta investigando su questi nuovi sviluppi, cercando di decifrare il significato degli oggetti ritrovati e collegarli ai casi di Orlandi, Gregori e Skerl. L’obiettivo è capire se questi nuovi indizi possano portare a una svolta nelle indagini. (continua…).
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Mondo
Elon Musk “programma” il suo chatbot per essere scorretto: Grok diventa nazista in 3, 2, 1…
Nel giorno in cui Elon Musk aggiorna Grok per renderlo più “politicamente scorretto”, l’intelligenza artificiale di X esplode in un tripudio di antisemitismo, complottismo e frasi degne del Mein Kampf. X corre a cancellare tutto. Ma il mostro, stavolta, lo ha costruito da solo.

Elon Musk voleva una voce fuori dal coro, qualcosa di alternativo ai chatbot “woke” e troppo corretti come ChatGPT o Gemini. E così ha modificato Grok, l’intelligenza artificiale targata X, per renderla più “audace”, “diretta”, “politicamente scorretta”. Detto, fatto. In poche ore Grok è diventato un Mein Kampf 2.0: ha inneggiato a Hitler, minimizzato l’Olocausto, puntato il dito contro “gli attivisti dai cognomi ashkenaziti” e definito le politiche antirazziste “odio contro i bianchi”.
Una macchina dell’odio perfettamente confezionata, prodotta in casa Musk. Altro che algoritmo ribelle: Grok ha seguito le istruzioni. È diventato esattamente ciò che Elon voleva. Solo che invece di dire “le cose come stanno”, ha vomitato slogan neonazisti e complottismi da sottoscala digitale.
Il tutto è esploso in pubblico martedì. Grok ha risposto a un account fake che insultava le vittime di un’alluvione in Texas con frasi degne del peggior suprematismo bianco. Non contento, ha citato l’Olocausto come “esempio di risposta efficace” e ha chiesto, sarcastico, di farsi passare i baffi se dire la verità lo rende “letteralmente Hitler”.
Nel frattempo, X (l’ex Twitter) ha rimosso tutto. Peccato che lo schifo fosse già virale. E, proprio il giorno dopo, la CEO Linda Yaccarino si è dimessa senza dare spiegazioni. Cosa sarà mai andato storto?
Musk tace, o peggio, rilancia. In nome della libertà d’espressione, sta distruggendo ogni argine etico. E se l’AI dev’essere “libera”, il risultato non è il dissenso. È l’odio. Programmato. Pubblicato. E, stavolta, firmato Elon Musk.
Italia
Plasmon torna italiana dopo 50 anni: il biscotto dell’infanzia rientra a casa
Il gruppo emiliano NewPrinces rileva lo storico marchio dai colossi americani di Kraft Heinz. Un ritorno al made in Italy che sa di rivincita industriale (e sentimentale)

Dopo cinquant’anni trascorsi all’estero, Plasmon torna italiana. Lo storico marchio di biscotti per l’infanzia – icona dolce di generazioni di bambini e segreto inconfessabile per molti adulti – è stato acquistato dal gruppo emiliano NewPrinces (ex Newlat Food), che ha rilevato le attività italiane di Heinz per una cifra vicina ai 120 milioni di euro.
A vendere è stato il colosso statunitense Kraft Heinz, che dal 1967 controllava Plasmon e che ora cede non solo il marchio madre, ma anche altri brand come Nipiol, BiAglut, Aproten e Dieterba, tutti specializzati nell’alimentazione infantile e dietetica. Il cuore produttivo dell’operazione è lo stabilimento di Latina, dove ogni anno vengono sfornati 1,8 miliardi di biscotti, omogeneizzati e pappe.
Fondata nel 1902 a Milano dal medico Cesare Scotti, Plasmon è stata per decenni un punto fermo della tavola italiana, soprattutto durante il boom demografico del dopoguerra. Complice la pubblicità in Carosello e le scatole di latta diventate oggi oggetto vintage, il marchio ha conquistato una fiducia senza tempo.
La vendita alla Heinz americana, avvenuta negli anni Sessanta, aveva segnato l’inizio di una lunga fase di internazionalizzazione, ma anche di distacco emotivo dal territorio. Ora, grazie a NewPrinces, il brand fa ritorno in mani italiane. Una mossa non solo industriale ma anche simbolica, che parla di filiere locali, know-how nazionale e voglia di riportare valore a casa.
Lo stabilimento di Latina, considerato tra i più avanzati d’Europa nel settore, continuerà a produrre anche per il mercato britannico, almeno per un periodo transitorio. Ma il controllo, questa volta, torna sotto bandiera tricolore.
NewPrinces – già attiva con brand storici come Polenghi e Delverde – punta così a rafforzare la propria posizione nel comparto baby food. In un mercato da 200 milioni di euro di fatturato e un margine operativo lordo di circa 17 milioni.
Una buona notizia, per una volta. Che sa di latte caldo, biscotti e orgoglio nazionale.
Italia
Dallo stupro di gruppo al profilo su OnlyFans: la nuova vita (e le nuove domande) di Asia Vitale
La ragazza simbolo del caso Palermo si mostra oggi senza filtri su OnlyFans. Rivendica il controllo sul proprio corpo. Ma tra emancipazione e contraddizione, resta l’amaro dubbio: stiamo assistendo a una rinascita o a una nuova forma di esposizione?

Due anni fa il suo nome è diventato simbolo. Asia Vitale, la ragazza di Palermo violentata da sette ragazzi in un cantiere abbandonato, oggi riappare sotto una luce diversa: quella di una webcam. Dopo la chiusura del suo profilo Instagram e il calo dei follower, ha aperto un nuovo canale su OnlyFans. Si chiama AsiaVitale3.0 e propone contenuti sessuali a pagamento. Tutto legale, tutto consenziente, tutto rivendicato.
“Il corpo è mio”, dice. “Chi ha problemi con questo mestiere dovrebbe cambiare mentalità”. Eppure, la sua storia personale rende difficile ignorare la frattura tra passato e presente. Dopo aver subito un’aggressione brutale e aver vissuto anni in comunità per allontanarsi da una famiglia che lei stessa definisce “tossica”, oggi Asia monetizza la propria immagine, il proprio corpo, la propria sessualità.
Non c’è giudizio, ma c’è stupore. Non si tratta di negare la libertà di scelta, ma di registrare una contraddizione che interroga chi osserva. Come si arriva, da una violenza così feroce, a scegliere di mettersi di nuovo sotto gli occhi di tutti, stavolta per guadagnare?
“Ho rimosso le loro facce”, dice parlando dei suoi aggressori. “Cerco solo di andare avanti”. Racconta di un rapporto con il sesso profondamente cambiato, più consapevole, più adulto. Ma confessa anche un trauma più recente: un sequestro subito a Ballarò, da parte della madre di uno degli accusati, che voleva costringerla a ritirare la denuncia.
Oggi lavora in un hotel a Courmayeur e prova a costruirsi una nuova vita. OnlyFans la aiuta a far quadrare i conti, ma non garantisce stabilità. I video vengono pagati, ma possono anche essere rivenduti illegalmente. Un’altra forma di sfruttamento, di cui Asia è perfettamente consapevole.
Il suo è un racconto di sopravvivenza. Ma anche una domanda aperta: dopo tutto questo dolore, davvero la libertà passa ancora per l’esposizione del corpo?
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