Storie vere
Ottanta Paesi visitati da sola: ecco i segreti di una viaggiatrice controcorrente
Ha viaggiato per oltre ottanta Paesi del mondo da sola. Latifah Al-Hazza spiega le 8 cose da fare per garantire la propria sicurezza.

Viaggiare, si sa, è un richiamo irresistibile per molti, un’opportunità per esplorare nuovi orizzonti e arricchire la propria anima. Ma quando si decide di affrontare il mondo da soli, soprattutto per le donne, la sicurezza diventa una priorità assoluta. Latifah Al-Hazza, una vera e propria viaggiatrice nomade con oltre 80 Paesi nel suo carnet, svela i suoi preziosi consigli per viaggiare in totale autonomia senza rinunciare all’avventura.
L’itinerario della viaggiatrice solitaria? Andare sempre dove ti porta il cuore
“Dopo anni passati a vagabondare per il mondo, ho imparato che l’imprevisto è parte integrante del viaggio“, afferma sicura Latifah. Nonostante ami l’improvvisazione, questa viaggiatrice esperta sottolinea l’importanza di una buona pianificazione. Insomma del pre viaggio. Latifah studia sempre attentamente la destinazione, cerca quartieri sicuri e prenota tutte le sistemazioni trovate con molto anticipo. Ma, sottolinea, che è sempre pronta a cambiare rotta e seguire i suoi istinti. Quello che le dice il cuore.
La sicurezza prima di tutto
A tutte le donne, e non solo, che vogliono intraprendere la sua strada Latifah dispensa alcuni utili e saggi consigli che, anche se sembrano ovvi, non è mai sbagliato valutare attentamente. Per viaggiare serene e senza preoccupazioni, per prima cosa Latifah consiglia di condividere sempre il proprio itinerario. Ovvero tenere informati amici o familiari sui propri spostamenti. Un passaggio che reputa fondamentale. E anche molto facile da seguire. Oggi, infatti, grazie alle app è possibile condividere la propria posizione in tempo reale. Come secondo consiglio la viaggiatrice suggerisce di vestirsi sempre con molta discrezione. Evitare gioielli vistosi e borse ingombranti può ridurre il rischio di attirare l’attenzione di malintenzionati. “Un marsupio nascosto sotto i vestiti è un’ottima soluzione“, dice.
Pianificare bene le spese e imparare a dire di no
Per quanto riguarda l’aspetto economico e i cambi di valuta Latifah suggerisce di portare con sé contanti in valuta locale e prelevare solo piccole somme di volta in volta. Questa potrebbe essere una buona pratica, soprattutto in zone meno turistiche. È importante inoltre essere sempre cordiali, ma anche ferme e decise. Ovvero non accettare inviti da sconosciuti ed evitare situazioni che potrebbero mettere a disagio le viaggatrici. Quando ci si sente disorientati è bene cercare un luogo affollato come un caffè o un negozio e mettersi a consultare la mappa per ritrovare i punti di riferimento. Naturalmente la viaggatrice esperta consiglia di sfruttare al massimo le app per viaggiatori che risultano alleate preziose per orientarsi, trovare alloggi e prenotare trasporti.
Restare sempre una viaggiatrice consapevole
“Viaggiare da sole è un’esperienza straordinaria, ma richiede consapevolezza e buon senso“, sottolinea Latifah. “Osservate l’ambiente circostante, fidatevi del vostro istinto e non abbiate paura di chiedere aiuto se ne avete bisogno“. Con un po’ di organizzazione, un pizzico di avventura e una buona dose di cautela, dice la viaggiatrice esperta, ogni viaggio può diventare un’esperienza indimenticabile.
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Storie vere
Clausura a luci rosse: suora beccata online, la badessa la richiama e finisce rimossa
Una suora sorpresa su siti erotici, una badessa che invita alla castità, una lettera anonima al Vaticano e dodici religiose in fuga. A Vittorio Veneto le suore di clausura si sono divise tra obbedienza e ribellione, tra convento e villa segreta. Ma il convento, ora, non è più lo stesso.

C’era una volta un convento silenzioso, raccolto tra le colline venete, dove dodici monache di clausura vivevano nella quiete, tra litanie e rosari. Fino a quando il diavolo — o forse solo la connessione internet — non ci mise la coda. E a Vittorio Veneto scoppiò il finimondo tra le suore.
A raccontare l’ultima novena della discordia è una delle religiose fuggite: «Una delle consorelle era stata scoperta dalla badessa Aline su siti erotici. L’aveva invitata con delicatezza a rispettare il voto di castità. Ma da lì — guarda un po’ — è partita la lettera anonima al Papa», spiega oggi, con voce non proprio da confessionale.
La famosa missiva, indirizzata a Papa Francesco e firmata da quattro sorelle, accusava suor Aline di autoritarismo e gestione dispotica. Peccato che, secondo la versione delle “fuggiasche”, la questione sarebbe iniziata per tutt’altri motivi. Ovvero, per la voglia repressa di una sorella un po’ troppo curiosa.
Suor Aline, per molti un punto di riferimento spirituale e disciplinare, è stata rimossa dal Vaticano dopo l’esplosione del caso. Al suo posto è arrivata suor Martha Driscoll. Ma a quel punto, il clima dentro il convento era già da apocalisse: tensioni, ispezioni, sguardi storti nei corridoi e, dicono, pure qualche porta sbattuta più forte del dovuto.
Così, dodici suore hanno preso il velo (metaforicamente) e se ne sono andate. Ora vivono in una villa segreta, donata da un benefattore devoto e, immaginiamo, discretamente incuriosito. Temono “ritorsioni”, dicono. Non si sa da chi, ma si sa che preferiscono mantenere l’anonimato, anche se ormai — nel paese — il convento è diventato la nuova telenovela del dopomessa.
«Invece di affrontare le criticità, è stata rimossa la badessa. E tutti i soldi sono rimasti nel monastero», raccontano. Le suore in fuga vivono oggi con uno stipendio, una pensione e qualche offerta della comunità. Ma la vera eredità, quella che arde tra incensi e pettegolezzi, è un convento spaccato in due.
Una sola certezza rimane: anche tra le mura della clausura, le passioni umane battono più forte del silenzio. E dove non arrivano gli spiriti santi, arriva la fibra ottica.
Storie vere
Padova, rifiuta l’orale alla maturità: “È solo una sciocchezza”
Aveva già i crediti per il diploma e ha scelto di non presentarsi all’orale come forma di protesta: “Il sistema scolastico genera solo stress e competizione”. Dopo un confronto coi docenti, ha accettato di rispondere ad alcune domande.

Gianmaria Favaretto, 19 anni, studente del liceo scientifico Fermi di Padova, ha deciso di voltare le spalle all’esame orale della maturità. Non per un ripensamento dell’ultimo minuto o per paura del confronto, ma per protesta. La mattina del colloquio, con un tono fermo e garbato, ha firmato il registro, ha ringraziato la commissione ed è uscito dall’aula. «Grazie di tutto, ma io questo colloquio non lo voglio sostenere», ha detto. E se n’è andato.
La sua non è stata una fuga, ma una decisione meditata: “Avevo maturato questa scelta nel corso dell’anno. Con i 31 crediti accumulati nel triennio e i 31 ottenuti con le prove scritte, ero già a quota 62. Quindi avevo la sufficienza per il diploma”. Ma soprattutto, per lui, l’orale non aveva alcun valore. “È solo una formalità inutile – ha spiegato – un numero che pretende di misurare la persona, ma che non dice nulla sul suo valore reale”.
Favaretto ha criticato duramente l’intero impianto della scuola italiana, e in particolare la pressione legata al voto: “C’è troppa competizione in classe. Ho visto compagni diventare cattivi per mezzo punto. Questa ossessione per il giudizio numerico soffoca la crescita e mina il benessere degli studenti”. Secondo lui, l’attuale sistema scolastico genera solo ansia e frustrazione, trasformando la maturità in una gara più che in un momento di riflessione o di passaggio.
Di fronte alla sua scelta, la presidente di commissione ha reagito con fermezza: “Mi ha detto che stavo mancando di rispetto al lavoro dei docenti che avevano corretto i miei scritti”. Ma, dopo un confronto più sereno con gli insegnanti interni, è stato trovato un compromesso: Gianmaria ha risposto ad alcune domande di programma, guadagnando 3 punti che hanno portato il suo voto finale a 65 su 100.
Un gesto forte, il suo, che non si limita a una protesta personale ma solleva interrogativi più ampi sul senso e sull’efficacia dell’esame di Stato. “Sono probabilmente il primo a fare una cosa del genere al Fermi”, ha detto. E forse anche uno dei pochi ad aver trasformato l’esame in un’occasione di denuncia.
Storie vere
Cacciata da un ristorante perché tifosa della Lazio: la piccola Emma diventa simbolo di civiltà tradita
È successo davvero: una famiglia in vacanza si è vista negare l’ingresso in un ristorante della riviera abruzzese perché la figlia indossava i colori biancocelesti. Reazioni indignate da Lazio e Pescara, mentre Lotito la invita a Formello.

Immaginate la scena: una bambina di undici anni, in vacanza con mamma e papà, si presenta felice davanti a un ristorante sul lungomare di Pescara. Indossa con orgoglio una maglietta della Lazio e un cappellino abbinato. Ma a quanto pare, non è gradita. “Qui non potete entrare”. Non perché abbiano il cane, non perché siano in ritardo, non perché la cucina sia chiusa. Ma per quella maglia. Quella maglietta della Lazio.
È successo davvero. E in un lampo è diventato un caso nazionale, anzi una piccola, triste fotografia dell’Italia che riesce sempre a superarsi nella gara dell’intolleranza calcistica. La notizia, pubblicata da Il Centro, ha provocato una tempesta di reazioni. A cominciare dalla stessa Lazio, che via social ha scritto: “Cara Emma, ti aspettiamo a Formello. Qui sei la benvenuta”.

Ma a sorprendere è anche la reazione del Pescara Calcio, club storicamente rivale della Lazio. Anche loro hanno preso le distanze, con un messaggio chiaro: “Negare l’ingresso a una bambina per la sua fede calcistica è un gesto che non ha alcuna giustificazione”. Parole semplici, ma che oggi suonano come ossigeno in un Paese dove si scambia il tifo per una guerra di religione.
La piccola Emma, diventata suo malgrado simbolo della civiltà calcistica che fu, ha raccolto una valanga di solidarietà. Sì, perché indignarsi è giusto. Ma è ancora più giusto chiedersi come sia possibile che nel 2025 qualcuno pensi di fare selezione all’ingresso in base alla squadra del cuore. In un ristorante, poi. Dove si dovrebbe andare per stare bene, non per essere giudicati.
Ora Emma visiterà il centro sportivo biancoceleste. Vedrà i suoi beniamini, riceverà abbracci e maglie firmate. Ma nessun gesto, per quanto bello, potrà cancellare quel momento in cui si è sentita esclusa. E tutto per una maglietta. O meglio, per l’idea sbagliata che certi adulti hanno dello sport.
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