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Storie vere

La fabbrica di cioccolato, per Rossella e i suoi colleghi è diventato un mondo che svanisce

La storia di Rossella e dei 115 colleghi della fabbrica di cioccolato Barry Callebaut che ha deciso di chiudere lo stabilimento di Intra. Cercasi acquirente disperatamente…

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    C’era una volta, in un piccolo angolo d’Italia, una fabbrica che profumava di cacao, di sogni e di cioccolato. Per trent’anni, Rossella Criseo ne ha respirato l’aria, ne ha assaporato il gusto, ne ha sentito il ritmo. Un po’ come Charlie Bucket – personaggio principale del romanzo di Roald Dahl La Fabbrica di Cioccolato da cui sono stati tratte numerose versioni cinematografiche. Anche lei ha trovato nella fabbrica di cioccolato di Intra un mondo tutto suo, un microcosmo dove il tempo scorreva al ritmo dei macchinari e il profumo del cacao avvolgeva ogni cosa. Ma a differenza del fortunato protagonista del romanzo di Dahl, per Rossella questa fabbrica non è stata una porta magica verso un mondo incantato, bensì un luogo di lavoro, un pezzo della sua vita.

    Dal sogno all’incubo: vite sospese tra cioccolato e precarietà

    Quando sono entrata per la prima volta in stabilimento avevo appena diciotto anni, ero una ragazzina“, racconta Rossella con la voce velata dalla tristezza. “Ho vissuto più di trent’anni a stretto contatto con il cioccolato, prima nel reparto modellaggio poi nel reparto fabbricazione. Ora la mia vita è in un limbo“, dice sconsolata.

    Trent’anni di fedeltà ripagati con la disoccupazione: la rabbia dei lavoratori

    Eppure, la sua storia, e quella dei suoi 115 colleghi, è ben lontana dalla fiaba. La Barry Callebaut, la multinazionale svizzera che ha rilevato la fabbrica, ha deciso di chiudere lo stabilimento. “Da un giorno all’altro“, dice Rossella, “ci hanno comunicato che la fabbrica avrebbe chiuso. È come se ci avessero tolto il tappeto da sotto i piedi.” Rossella e i suoi colleghi hanno dato tutto per questa fabbrica. Hanno lavorato sodo, fatto straordinari, sacrificato il tempo libero. Si sono sempre dati da fare. “Siamo stati i primi in Italia a fare le ‘squadrette‘, a lavorare sette giorni su sette. E ora l’azienda ci ripaga così?“, dice con un retrogusto molto amaro. Lo stabilimento è ora nelle mani di Vertus, società incaricata da Barry Callebaut per trovare un nuovo acquirente.

    Il marito conosciuto tra una squadretta al fondente e una al latte

    La loro fabbrica era più di un semplice luogo di lavoro. Era un pezzo della loro identità, un punto di riferimento per la comunità. “Lo si poteva percepire già fuori alla mattina, prima di entrare in azienda, soprattutto con il vento“, ricorda Rossella. “Era un odore che caratterizzava il quartiere. Una realtà che potrebbe non esistere più.” Ora, mentre si avvicina la data della chiusura, Rossella e i suoi colleghi vivono nell’incertezza. Il futuro per lei e il marito conosciuto in fabbrica, è un’incognita. “Il destino della nostra famiglia è appeso a un filo“, confida. “I nostri colleghi si trovano nella stessa situazione: lontani dalla pensione, con mutui da pagare e figli da mantenere.”

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      Amore e fede: il coraggio di seguire il cuore contro le regole del celibato. Don Daniele non è il primo e non sarà l’ultimo…

      Sta facendo il giro del web la storia di don Daniele Fregonese in servizio presso la Diocesi di Treviso che lascia il sacerdozio per andare a vivere con una parrocchiana.

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        Caro Don Daniele non stia in ansia. Il suo caso non è il primo e siamo certi che non sarà l’utimo caso di un sacerdote che lascia il suo incarico perchè si innamora di una parrocchiana e abbandona il celibato. La scelta di Daniele Fregonese, ex sacerdote della diocesi di Treviso – 51 anni originario di Fossalta di Piave – di lasciare il sacerdozio per vivere un amore nato con una donna che frequentava la sua parrocchia, ha acceso il dibattito su una questione complessa. E antica. Ovvero il celibato obbligatorio per i sacerdoti. Sebbene unico per l’attenzione mediatica ricevuta, il caso, come tutti sappiamo, non è isolato. Quello di Don Daniele è una storia nata con una collega in uno dei gruppi scout in cui era attivo da ormai diversi anni nel comune di Spresiano (Treviso).

        Don Daniele e i tanti ruoli ricoperti

        E pensare che il Don ricopriva diversi ruoli nelle diocesi di Treviso. Oltre che svolgere la finzione di parroco era anche vice cancelliere e direttore delle comunicazioni sociali. Le sue competenze in diritto canonico, inoltre, gli avevano permesso di assicurarsi un ruolo di docenza all’Istituto Superiore di Scienze Religiose Giovanni Paolo I. Ma qualche mese fa ha richiesto la riduzione allo stato laicale.

        Celibato dei preti: una “disciplina rivedibile”

        Tra gli episodi più recenti, si segnala Don Antonio Romano di Avellino, che dopo 23 anni di servizio ha rinunciato al ministero, annunciando su Facebook di aver trovato l’amore con una donna e di voler continuare il suo cammino di fede come missionario laico. Anche Don Tomas Hlavaty, parroco nella diocesi di Alba, ha fatto una scelta simile, abbandonando la tonaca per costruire una vita familiare e diventare papà​. Questi episodi riflettono un crescente malessere che coinvolge molti sacerdoti. Le loro scelte non sono solo personali ma sollevano interrogativi sulla regola del celibato, definita da Papa Francesco una “disciplina” rivedibile. Mentre le Chiese ortodosse e alcune tradizioni cattoliche orientali permettono il matrimonio ai sacerdoti, il dibattito nella Chiesa occidentale rimane acceso, anche per fronteggiare il calo delle vocazioni​. Storie che sollevano domande cruciali sul rapporto tra amore, fede e servizio spirituale.

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          Il coraggio di Matteo: dopo lo squalo, rinasce con una protesi e sogna l’Australia

          Ritrovarsi in mezzo agli squali una seconda volta, con una protesi al posto della gamba, è un’esperienza che pochi riuscirebbero anche solo a immaginare.

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            Per molti, sopravvivere a un attacco di squalo sarebbe un trauma insuperabile. Per Matteo Mariotti, parmense ed ex studente dell’istituto Mandela di Castelnovo Monti, è diventato il punto di partenza per una straordinaria sfida personale. Attaccato in Australia, Matteo ha perso la gamba sinistra, ma non la sua voglia di vivere. Tre mesi dopo, si è tuffato di nuovo in mare, circondato dagli squali, per affrontare il proprio destino a testa alta e dimostrare a sé stesso che nulla può fermarlo.

            Riconciliazione con il mare e lo squalo

            Per Matteo è stato come chiudere un cerchio. “Prima di tuffarmi avevo ansia, ma una volta lì sotto mi sono sentito calmo, come riconciliato con quella parte di me e del mare. Trovarsi in mezzo agli squali dopo l’attacco è un’esperienza indescrivibile, ma era un passo necessario per andare avanti“. Il desiderio di continuare a vivere appieno ha spinto Matteo a un progetto ambizioso: creare protesi che gli permettano di praticare sport estremi come arrampicata, motocross, wakeboard e kitesurf. Non trovando sul mercato soluzioni adeguate, Matteo, insieme a un amico e con l’aiuto di ingegneri, ha deciso di costruire le protesi lui stesso.
            Voglio che queste protesi siano il mezzo per tornare a essere me stesso e, magari, aiutare altre persone nella mia situazione“, spiega. “Per me, questo incidente è solo un contrattempo. Non voglio limitarmi a sopravvivere, voglio vivere al massimo“.

            Il ritorno in Australia con la sua protesi

            Per Matteo, l’Australia non è solo il luogo dell’incidente, ma una terra di opportunità. “Qui a Monchio sto bene, ma sono limitato. Lì, lo stile di vita mi permette di crescere e vivere come desidero. Voglio riprendere in mano la mia vita e continuare a inseguire i miei sogni“. Tra questi, c’è anche la possibilità di completare il percorso in biologia marina che aveva iniziato prima di subire l’attacco dello squalo.

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              Storie vere

              Si chiama Alen, il giovane eroe della Bassa Padana che salva una vita sulle Rive del Po

              Un giovane autista di una ditta di Verona, lunedì mattina mentre era diretto a Dosolo per una consegna, ha notato qualcosa di strano…

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                Questa storia si svolge nella quiete apparentemente immutabile della Bassa Padana, a due passi dal fiume Po, tra campi di nebbia e paesaggi che sembrano usciti dalle storie di Don Camillo e Peppone. Lì si è consumato un dramma che avrebbe potuto finire in tragedia. È solo grazie al coraggio di Alen Halilovic, un giovane di 21 anni originario della Bosnia ma cresciuto in Italia, che quella giornata a Guastalla non si è trasformata in un altro tragico racconto di cronaca nera.

                L’inizio di un atto eroico

                E’ successo che lunedì mattina, lungo una strada solitaria che costeggia i campi umidi vicino al ponte sul Po, Alen, autista per una ditta di Verona, era diretto a una consegna. All’incrocio con la provinciale, una BMW bianca ferma con le portiere aperte ha attirato la sua attenzione. Avvicinandosi, ha visto qualcosa che lo ha fatto fermare di colpo: un uomo corpulento era a cavalcioni su una donna, la picchiava e brandiva un coltello. Senza pensarci, Alen ha invertito la marcia, si è piazzato dietro la vettura e, con il cellulare in mano, ha iniziato a filmare la scena mentre urlava per distrarre l’aggressore.

                Alen: faccia a faccia con il pericolo

                L’uomo della BMW, alto quasi un metro e novanta, si è girato verso di lui, il coltello sporco di sangue nella mano destra. “Aveva gli occhi spalancati e le labbra bianche, sembrava fuori di sé“, racconta Alen. Nonostante il timore, il giovane non si è tirato indietro: ha continuato a distrarlo e, quando l’uomo ha cercato di trascinare la donna in auto, si è lanciato contro di lui, riuscendo a mettersi in mezzo e a bloccarlo.

                Una lotta contro il tempo

                La donna, ferita al collo, si è aggrappata alla gamba di Alen, disperata. “Mi diceva: sto morendo, aiutami, non vedo e non sento più niente“, ricorda il ragazzo. Nel frattempo, il destino ha mandato un aiuto insperato: un’ambulanza della Croce Rossa, che passava per caso, si è fermata per prestare soccorso. Alen, con una lucidità straordinaria, ha persino chiamato la madre della donna per rassicurarla e raccontarle quanto accaduto. Nel frattempo, l’aggressore è fuggito, ma il giovane aveva già ripreso tutto con il cellulare, fornendo così alle autorità preziose prove per identificarlo.

                Alen un eroe alla Guareschi…

                Tanta gente si volta dall’altra parte“, ha detto Alen con amarezza. “Io ho pensato che quella donna poteva essere una mia amica, mia sorella o mia madre. Non ci ho pensato un secondo: dovevo intervenire“.

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