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Storie vere

Suore in fuga: dal prosecco alla rivoluzione in convento!

Le suore cistercensi di Vittorio Veneto abbandonano il convento dopo il commissariamento e l’arrivo di una nuova badessa con metodi troppo rigidi. Tra produzione di Prosecco e tensioni interne, la comunità religiosa vive una vera e propria rivoluzione.

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    Un episodio insolito ha scosso la comunità monastica del convento dei Santi Gervasio e Protasio a San Giacomo di Veglia, Vittorio Veneto. Cinque suore di clausura hanno abbandonato il monastero, denunciando un clima insostenibile e una pressione psicologica che le ha spinte a cercare rifugio altrove. Le monache, prima di lasciare definitivamente il convento, si sono recate alla caserma dei carabinieri. Questo per evitare che la loro “fuga” fosse interpretata come un evento allarmante. Non hanno denunciato reati, ma hanno spiegato la loro decisione con una serie di gravi vicissitudini legate alla gestione del monastero negli ultimi due anni.

    Commissariamento e l’arrivo della nuova badessa

    La crisi è esplosa dopo il commissariamento imposto dal Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata, che ha destituito madre Aline Pereira, abbadessa del convento, e ha nominato come sua sostituta madre Martha Driscoll, 81 anni. Il cambio di guida è stato vissuto come un’imposizione dalle suore più giovani, molte delle quali già da tempo pensavano di lasciare il convento. Madre Aline, brasiliana e laureata in economia, aveva avviato progetti innovativi, favorendo l’apertura del monastero al mondo esterno. Come le attività legate alla produzione di Prosecco, alla vendita di Aloe e creme naturali, e persino alla solidarietà verso bambini autistici e donne vittime di violenza. Il sospetto della comunità che ruota intorno al convento è che il suo approccio progressista abbia causato malcontenti all’interno dell’Ordine, portando al commissariamento e alla nomina di una nuova superiora con una visione più tradizionale.

    La produzione del monastero e la tensione interna

    Il convento ha sempre mantenuto un forte legame con la comunità locale, tanto che Sarah Dei Tos, proprietaria di un agriturismo vicino, ha espresso preoccupazione per la crisi in corso. “Erano suore serene, coinvolte in progetti meravigliosi. È assurdo pensare che tutto possa fermarsi adesso”, ha dichiarato Dei Tos, sottolineando che molte suore esperte hanno deciso di lasciare il monastero, mettendo a rischio le attività che lo rendevano autosufficiente.

    La reazione della Chiesa Cattolica

    La Diocesi di Vittorio Veneto ha preso le distanze dalla vicenda, affermando che non è di sua competenza intervenire su questioni interne alla comunità monastica. Il commissariamento è stato notificato direttamente dall’Ordine Cistercense, citando “criticità nella vita della comunità”. Tuttavia, i vertici non hanno reso pubbliche le vere motivazioni, alimentando dubbi e speculazioni tra i fedeli e la cittadinanza. L’origine della crisi sembra risalire a una lettera inviata al Papa da quattro consorelle trasferite, che accusavano madre Aline di comportamenti prevaricatori. Dopo le indagini interne, la vicenda è stata archiviata come calunnia, ma ulteriori ispezioni canoniche hanno poi portato al commissariamento, sostenendo che l’ex badessa mostrava atteggiamenti manipolatori e incapacità decisionale.

    Ora che si fa? Il convento tenta di bloccare la fuga di altre monache

    Ora si teme che il monastero perda molte delle sue attività, soprattutto con l’uscita delle monache più esperte e operative. Il convento rischia di trasformarsi con una gestione più tradizionale, meno aperta all’innovazione e al coinvolgimento sociale. Nel frattempo, altre suore potrebbero decidere di seguire le cinque fuggitive, lasciando solo le più anziane, che faticano a trasferirsi altrove.

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      Chiamano il neonato Lucifero: la scelta che fa discutere di una giovane coppia che ha vinto la causa con l’anagrafe

      Nato nella sala parto 6, trasferito nel letto 6 della stanza 6: la vicenda accende il dibattito sull’opportunità di scegliere nomi così particolari. I genitori: “Siamo normali, il nome ha un significato per noi

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        Nel Derbyshire, una tranquilla contea inglese, Dan e Mandy Sheldon hanno fatto una scelta che non poteva passare inosservata: chiamare il loro figlio Lucifero. La decisione, spiegano i genitori, è nata per motivi personali, ma ha immediatamente suscitato polemiche e una reazione inaspettata da parte delle autorità.

        La storia è diventata ancor più curiosa per una serie di coincidenze numeriche: il bambino è nato nella sala parto numero 6, e la madre è stata poi trasferita nel letto 6 della stanza 6. Dettagli che hanno acceso l’immaginazione di molti e alimentato discussioni sui social.

        Quando la coppia si è recata all’anagrafe per registrare il nome, l’ufficiale si è opposto, definendo il nome inappropriato a causa delle sue connotazioni religiose e culturali. La questione è finita in tribunale, dove i Sheldon hanno vinto la causa, ottenendo il diritto di registrare ufficialmente il nome scelto per il loro bambino.

        Lucifero: il significato oltre il pregiudizio

        Il nome Lucifero ha origini latine e significa letteralmente “portatore di luce”, un riferimento poetico all’astro del mattino. Tuttavia, a partire dalla tradizione cristiana, è diventato sinonimo del diavolo, assumendo un significato carico di negatività.

        Nonostante ciò, Dan e Mandy difendono con fermezza la loro scelta: «Per noi, Lucifero non ha nulla a che fare con il diavolo. È un nome bello, unico, e rappresenta qualcosa di positivo. Non siamo persone strane né provocatori. Siamo genitori normali».

        Una vicenda che divide

        La storia ha rapidamente fatto il giro del mondo, scatenando dibattiti tra chi sostiene la libertà di scelta dei genitori e chi teme che il bambino possa subire pregiudizi e bullismo per via del suo nome. Sui social, i commenti spaziano dall’ironia all’indignazione, passando per l’incoraggiamento.

        Un utente ha scritto: «Forse non sarà facile crescere con un nome così, ma almeno nessuno lo dimenticherà mai». Altri, invece, hanno criticato la decisione: «Un nome è per tutta la vita, i genitori dovrebbero pensarci meglio».

        L’intervento dell’anagrafe

        La scelta del nome Lucifero ha portato l’ufficiale dell’anagrafe a esprimere un’opinione molto netta: «Non possiamo accettare un nome che può essere percepito come offensivo o inappropriato». Tuttavia, i giudici hanno stabilito che il rifiuto violava il diritto della coppia di scegliere liberamente il nome del figlio, a meno che non fosse palesemente lesivo per il bambino, cosa che non è stata dimostrata.

        Libertà e limiti nella scelta dei nomi

        Il caso dei Sheldon apre un dibattito più ampio sul confine tra libertà individuale e responsabilità. Se da un lato i genitori hanno il diritto di scegliere un nome unico e personale, dall’altro esiste il rischio di imporre un peso emotivo e sociale su chi dovrà portarlo per tutta la vita.

        In attesa che il piccolo Lucifero cresca e racconti la sua storia, il caso rimane un simbolo delle complessità legate a una libertà che, pur essendo sacrosanta, può avere conseguenze inaspettate.

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          “Madre Prosecco” e le suore in fuga, tra accuse, ribellioni e bollicine: la vera storia ignorata dai media

          In un’epoca dominata dai casi di cronaca nera e dal sensazionalismo televisivo, una storia straordinaria e per nulla cruenta è passata quasi inosservata: quella di Madre Aline Pereira Ghammachi e di undici suore ribelli del monastero di San Giacomo di Veglia, in provincia di Treviso. Accusate, isolate e infine fuggite, queste religiose hanno dato vita a una vicenda che intreccia spiritualità, bollicine venete, scontri di potere e desiderio di verità. Una narrazione dimenticata, ma più attuale che mai.

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            Mentre i riflettori mediatici sono puntati su nuovi gialli da prima serata, come il “Garlasco bis” o le performance mediatiche di avvocati e criminologi, pochi si sono chiesti che fine abbia fatto Madre Aline, ribattezzata affettuosamente “Madre Prosecco”. La badessa, giovane e intraprendente, è stata protagonista insieme a undici consorelle di una fuga silenziosa ma clamorosa, scaturita da tensioni interne al monastero e presunte persecuzioni ecclesiastiche.

            Dalla clausura alla ribellione

            Economista di formazione e originaria del Brasile, Madre Aline aveva trasformato il monastero in un simbolo di rinascita, producendo cosmetici naturali, tisane e soprattutto prosecco di qualità, tanto da attirare persino l’attenzione del presidente veneto Luca Zaia. Ma il suo spirito imprenditoriale e la sua visione moderna non erano ben viste da tutti. Nel 2023, un commissariamento imposto dal Vaticano ha scatenato un’escalation di accuse e malumori culminata nella clamorosa fuga.

            Il commissariamento e l’arrivo di Madre Driscoll

            A guidare l’intervento della Santa Sede è stata Madre Driscoll, 81 anni, richiamata dall’Indonesia con l’intento di riportare “l’ordine” nel monastero. Con lei, una psicologa e una suora dall’abbazia di Cortona. Il nuovo assetto ha però innescato tensioni, culminate in una vera e propria rivoluzione interna: secondo Aline, le suore sarebbero state isolate, vessate psicologicamente e perfino punite con reclusioni arbitrarie. Il clima si è fatto insostenibile.

            Accuse e controaccuse: cosa è successo davvero?

            Aline sostiene di essere stata allontanata per aver denunciato pratiche scorrette e per essersi opposta all’influenza di alcune figure “in odore di ciarlataneria”. Le accuse a suo carico? Autoritarismo, violazione della clausura, atteggiamenti manipolatori. Denunce che, a detta della badessa, derivano da lettere anonime e vendette personali, tra cui quella di una suora sorpresa a guardare materiale pornografico. Le versioni, ovviamente, divergono. Ma intanto, la verità continua a sfuggire.

            Una storia che parla anche di potere ecclesiastico

            Il caso di San Giacomo di Veglia porta alla luce le dinamiche opache di una Chiesa spesso impermeabile al dissenso interno. “Silere non possum”, testata cattolica indipendente, ha pubblicato una lunga intervista a Madre Aline in cui si denuncia il ricorso sistematico a presunti abusi per silenziare le voci scomode. In gioco, più che le regole monastiche, sembrano esserci ruoli, influenze e visibilità.

            Il presente delle suore fuggitive

            Oggi le religiose, tra cui Madre Aline, vivono in una casa a San Vendemiano, sostenute da benefattori e fedeli. Il ritorno in convento appare improbabile, eppure la battaglia legale e spirituale continua. La badessa ha presentato ricorso alla Segnatura Apostolica, determinata a far emergere la verità.

            Perché questa storia non va dimenticata

            In un’epoca in cui il dolore, il sangue e la morbosità monopolizzano l’informazione, storie come quella di Madre Prosecco rischiano di perdersi. Eppure parlano di libertà, di identità, di coraggio e perfino di fede. Meriterebbero un’attenzione diversa, non morbosa ma consapevole, per dare voce a chi ha scelto di non subire in silenzio.

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              Storie vere

              Aymane, il ragazzo che ha salvato due turisti e poi è scomparso tra le onde

              Il giovane di 16 anni ha perso la vita dopo un gesto eroico, mentre la coppia che ha salvato è fuggita senza lasciare traccia.

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                Aymane Ed Dafali aveva solo 16 anni, una vita davanti e un cuore grande. Viveva in Italia da tre anni con la sua famiglia, costruendo giorno dopo giorno il suo futuro. Ma nel pomeriggio dello scorso sabato a Lido Estensi, sulle coste del Ferrarese, tutto è cambiato. Un gesto di coraggio, un tuffo per salvare due persone in difficoltà, e poi il silenzio. Aymane non è più riemerso. Era uscito in mare con alcuni amici, su un pedalò. La corrente nel canale Logonovo, una zona vietata alla balneazione, aveva trascinato una coppia di turisti dove non toccavano più. Erano in difficoltà, rischiavano di annegare. Aymane ha deciso di agire, si è tuffato senza esitare. Anche un suo amico ha provato ad aiutarlo, ma indossava un salvagente, riuscendo così a mettersi in salvo.

                Aymane: Marrakech – Rovigo una viaggio pieno di speranza

                Nel frattempo, i bagnini in servizio, Filippo Barillari e Moreno Uggeri, si sono accorti della situazione e sono intervenuti. Hanno tratto in salvo la coppia, li hanno riportati in acque sicure. Solo in quel momento gli amici di Aymane hanno lanciato l’allarme: il loro amico non era più visibile, era scomparso sott’acqua. Si sono attivate le ricerche, ma il tempo giocava contro di lui. Poco dopo, il corpo di Aymane è stato recuperato, ormai privo di vita. Aymane Ed Dafali era originario del villaggio marocchino di Jbiel, nella regione di Marrakech, e viveva in Italia da tre anni con la sua famiglia. Risiedeva a Castelnovo Bariano, in provincia di Rovigo.

                E la coppia di turisti?

                I due turisti sono spariti subito dopo il salvataggio, senza lasciare traccia, senza preoccuparsi di chi aveva sacrificato la sua vita per loro. I testimoni raccontano di giovani tra i 20 e i 30 anni, che potrebbero non essersi accorti della tragedia o aver preferito fuggire, spaventati. Ad oggi, risultano irreperibili, e la loro versione dei fatti manca nella ricostruzione trasmessa alla Procura di Ferrara. Intanto, il padre di Aymane, Abderrohim Ed Dafali, è arrivato a Rovigo, distrutto dal dolore. «Era un ragazzo sempre felice, tranquillo, bravo», ha detto con voce spezzata. La salma del giovane è ancora all’ospedale di Cona, in attesa dell’esame autoptico. La giustizia farà il suo corso, ma la realtà è una sola: Aymane ha perso la vita per salvare due persone che, una volta al sicuro, si sono dileguate senza nemmeno voltarsi indietro. Un eroe silenzioso, un gesto di altruismo che ha avuto un prezzo troppo alto. E un dolore che nessuna parola potrà mai alleviare.

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