Cronaca
Wimbledon d’oro per chi lo vince, ma anche per chi perde
Wimbledon continua a essere un torneo di grande prestigio non solo per chi vince, ma anche per chi partecipa. Grazie all’aumento del montepremi e al grande interesse del pubblico, i tennisti italiani hanno potuto beneficiare di guadagni significativi, dimostrando che il tennis è davvero uno sport globale in continua crescita.
Il montepremi messo in palio nel torneo i Wimbledon quest’anno ha messo su piatto qualcosa come 50 milioni di sterline il doppio di dieci anni fa. A Jasmine Paolini sono andati 1.6 milioni di euro, a Lorenzo Musetti 851 mila euro, a Jannik Sinner 442 mila e Matteo Berrettini 110 mila. Tre anni fa, il tennista romano si portò a casa più di 1 milione.
Un torneo moto ricco
Quest’anno, l’All England Lawn Tennis and Croquet Club ha previsto un prize money complessivo di 50 milioni di sterline (circa 64 milioni di dollari). I campioni del singolare maschile e femminile sono nati 2,7 milioni di sterline ciascuno (3,45 milioni di dollari).
La posta in gioco è raddoppiata in 10 anni
Il montepremi è raddoppiato in dieci anni, passando da 25 milioni di sterline nel 2014 a 50 milioni di sterline di questa edizione. Significativo l’incremento rispetto al 2023 per i tornei di doppio maschile e femminile (+11,9%) e per le qualificazioni (+14,9%). Deborah Jevans, presidente dell’AELTC, ha più evidenziato l’importanza di questo aumento, soprattutto per il torneo in carrozzina, il cui montepremi è quadruplicato a 1 milione di sterline.
Il montepremi diviso per turni
Chi esce al primo turno porta a casa comunque 60 mila sterline, mentre il titolo vale 2,7 milioni di sterline. Anche chi esce al primo turno torna con una somma significativa. I giocatori vengono premiati in denaro anche attraverso le qualificazioni.
Quanto vale in soldoni la finale della Paolini
Jasmine Paolini ha guadagnato 1,4 milioni di sterline (circa 1,66 milioni di euro) solo raggiungendo la finale del torneo. Da fine maggio, comprendendo quindi anche il Roland Garros e Wimbledon, ha incassato complessivamente 3 milioni di euro.
Quanto ha guadagnato Sinner
Jannik Sinner ha guadagnato 375.000 sterline (circa 442.600 euro) raggiungendo i quarti di finale del torneo londinese. L’ingresso in semifinale avrebbe garantito 715 mila sterline (851 mila euro). Sinner è il tennista più ricco dell’anno con quasi sei milioni di dollari guadagnati, grazie alla vittoria degli Australian Open e alla semifinale al Roland Garros.
Le sponsorizzazioni del numero Uno del mondo
Oltre ai premi, Sinner guadagna 20 milioni di dollari all’anno dagli sponsor. Ha un contratto decennale con Nike da 150 milioni di dollari (15 milioni all’anno) e altre collaborazioni con Gucci, Rolex, Parmigiano Reggiano, Alfa Romeo, Lavazza, Fastweb, Technogym, Panini e Intesa Sanpaolo. E chi più ne ha più ne metta. Insomma i ragazzo sa il fatto suo e cavalca il suo successo…
Quanto guadagnò Berrettini nel 2021 e oggi
Nel 2021, raggiungendo la finale Matteo Berrettini guadagnò 1.048.224 euro, mentre Novak Djokovic vinse 1.979.979 euro. Quest’anno, avendo perso al secondo turno contro Sinner, Berrettini ha guadagnato circa 110 mila euro.
I premi in carriera per Berrettini
In tutta la sua carriera, Berrettini ha guadagnato 11.814.780 dollari in prize money. Solo nel 2024, il montepremi è a quota 267.000 dollari. Per quanto riguarda gli sponsor, Berrettini ha siglato un accordo con Hugo Boss nel 2022 dal valore di 500.000 euro, con guadagni totali derivanti dalle sponsorizzazioni che arrivano a 2 milioni annui.
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Cronaca
Ricatto a luci rosse contro un manager vicino a Meloni: cameriere condannato per tentata estorsione dopo un video erotico girato di nascosto
Il dirigente pubblico, figura di fiducia della presidente del Consiglio, è stato minacciato con la diffusione online di un filmato intimo. L’imputato avrebbe agito insieme a un complice armato. La corte riconosce il tentativo di estorsione e respinge l’accusa di possesso di arma da fuoco.
Un manager pubblico di primo piano, vicino a Giorgia Meloni, e un cameriere vent’anni più giovane. Da un incontro casuale in un ristorante di Roma nord nasce una frequentazione che, dopo anni di silenzio, si trasforma in un ricatto violento. È il quadro ricostruito dal tribunale, che ha condannato l’imputato a tre anni e 1.200 euro di multa per tentata estorsione.
La promessa, il ritorno di fiamma e il video nascosto
La relazione risale al 2013, quando i due si conoscono in una trattoria di Anzio. Secondo gli atti, il manager avrebbe accennato alla possibilità di “sistemare economicamente” il giovane amante. Un impegno rimasto nella memoria dell’indagato per oltre un decennio.
Nel 2024 un messaggio riapre i contatti: “Ciao, sei sparito. Come stai?”. Da quel momento i due tornano a frequentarsi. Durante un rapporto, il cameriere registra di nascosto un video hard, considerato dai magistrati la leva per il ricatto.
L’incontro all’Eur e la pistola in auto
Il filmato non basta: l’imputato coinvolge un complice, figura già conosciuta dal dirigente pubblico. Quando i tre si incontrano all’Eur, il complice sale sulla macchina della vittima, estrae una pistola e sostiene di appartenere a un gruppo criminale. La minaccia è esplicita: pagare, oppure vedere il video diffuso online.
Nei giorni successivi partono messaggi e nuove pressioni. Il manager propone 50mila euro, ma l’imputato respinge l’offerta: “Con il costo della vita non si compra neanche una casa”.
La denuncia, il processo e la condanna
La richiesta finale è di 300mila euro da inviare tramite bonifico. Prima che il pagamento avvenga, il dirigente decide di denunciare tutto. Le indagini portano al processo: il complice, giudicato con rito abbreviato, è già stato condannato. Ora arriva anche la sentenza per il cameriere: tre anni per tentata estorsione, nessuna responsabilità invece per l’arma utilizzata nell’agguato.
Cronaca Nera
Caso Garlasco, la perita smonta le certezze sul DNA: “Dati non affidabili”, compatibilità con Sempio ma con fortissime criticità scientifiche
Nella relazione di 93 pagine la perita mette in fila limiti metodologici, contaminazioni, assenza di un database locale e profili genetici troppo degradati per conclusioni nette. Restano solo due compatibilità “moderate”, mentre sugli altri reperti sono presenti solo DNA di Chiara e Stasi.
La perizia sul DNA sotto le unghie di Chiara Poggi, attesa per mesi, non chiude il cerchio. Al contrario, apre un fronte di incertezze che la stessa esperta, Denise Albani, mette nero su bianco: le tracce genetiche estratte nel 2014 dall’allora perito De Stefano “non sono consolidate né affidabili dal punto di vista scientifico”.
Materiale parziale, misto, degradato e mai sottoposto a verifica successiva. Su questo, la genetista non lascia margini di interpretazione. E tuttavia, applicando modelli biostatistici, arriva a una compatibilità della linea maschile di Andrea Sempio con due tracce rinvenute su due dita della vittima: un “supporto da moderatamente forte a forte” per una, “moderato” per l’altra.
Ma la stessa Albani avverte: non è possibile rispondere a domande fondamentali come “come, quando e perché” quel materiale genetico sia stato depositato. Un limite che, in un processo, pesa come un macigno.
Analisi biostatistiche tra limiti e assenze nei database
La relazione spiega perché le valutazioni statistiche non possano essere considerate definitive: manca un database della popolazione locale, condizione ideale per stimare la frequenza reale di un dato profilo genetico.
Per questo, la perita ha dovuto utilizzare gruppi molto più ampi: la metapopolazione europea e quella mondiale. Scelte obbligate, ma che possono produrre risultati “sottostimati” e comunque non riferibili con precisione al contesto di Garlasco.
Non stupisce che sia la difesa di Sempio sia i consulenti della famiglia Poggi continuino a parlare di dati “non scientifici” e “non utilizzabili” in sede processuale. La battaglia tra esperti è solo all’inizio.
Sugli altri reperti resta solo il DNA di Chiara e Stasi
L’incidente probatorio conferma inoltre che sugli altri reperti non emergono elementi nuovi. Le sessanta impronte rinvenute nella villetta non restituiscono profili utili, e sugli oggetti recuperati in pattumiera compaiono esclusivamente il DNA di Chiara e quello di Stasi.
Sul tappetino del bagno, ancora una volta, solo materiale genetico della studentessa e del padre. Nessuna traccia collegabile ad Andrea Sempio. Persino l’“ignoto 3”, per un periodo considerato possibile svolta, si rivela frutto di contaminazione autoptica.
Un risultato che non chiude nulla
La perita ricorda che gli aplotipi analizzati non sono identificativi e non permettono attribuzioni personali. La compatibilità con Sempio riguarda l’intera linea patrilineare: tutti i parenti maschi condividono quel profilo.
Alla domanda decisiva — basterà questo per incriminarlo? — oggi la risposta è no. Non con questi dati, non con queste criticità, non con tracce così fragili.
L’inchiesta prosegue, ma la scienza, per ora, non indica una verità univoca.
Storie vere
A Biancavilla famiglie in lacrime davanti alla salma sbagliata: scambio di feretri in ospedale e mistero su chi abbia invertito le bare
Lo scambio è avvenuto dopo il ricovero dei due uomini, coetanei, nello stesso ospedale di Biancavilla. Le bare tornano alle famiglie corrette, ma resta senza risposta la domanda chiave: quando e perché i feretri sono stati confusi?
A Biancavilla, nel Catanese, una famiglia ha vegliato per ore un uomo che non conosceva, convinta di trovarsi davanti al proprio caro estinto. La scena, quasi irreale, si è consumata in una casa privata dove parenti e amici avevano iniziato il rito del commiato. Nessuno aveva notato nulla di anomalo. L’allarme è scattato solo quando l’Azienda sanitaria provinciale di Catania ha contattato uno dei familiari, invitandolo a verificare l’identità della salma. Una richiesta insolita che ha subito acceso i sospetti.
Il controllo, effettuato con maggiore attenzione, ha confermato il peggiore dei timori: la persona nella bara non era il loro congiunto. Da quel momento la situazione si è capovolta, trascinando entrambe le famiglie in uno sconcerto difficile da spiegare.
Due uomini, stesso ospedale, età simile
Le informazioni raccolte indicano un punto comune: i due defunti, uomini di età simile, erano stati ricoverati nel medesimo ospedale, il “Maria SS. Addolorata” di Biancavilla. È lì che le loro strade si sarebbero incrociate per l’ultima volta.
Le operazioni successive – preparazione delle salme, trasferimenti, consegna delle bare – rappresentano una catena lunga, fatta di passaggi tecnici e procedure che, in teoria, riducono al minimo la possibilità di errori. Ma qualcosa, questa volta, non ha funzionato. E le famiglie, ignare, hanno accolto due feretri invertiti senza sospettare alcuno scambio.
Un errore ancora senza autore
Resta ora la domanda più scomoda: chi ha invertito le bare? E soprattutto, in quale momento della procedura è avvenuta la confusione?
L’Asp ha segnalato l’accaduto e dovrà ricostruire ogni fase, dai reparti al deposito delle salme, fino al passaggio alle imprese funebri. Errori del genere sono rari, ma quando accadono lasciano dietro di sé non solo disagi burocratici ma ferite emotive profonde.
Le due famiglie, dopo ore di smarrimento, hanno finalmente riavuto indietro i rispettivi defunti. Un epilogo necessario, ma che non cancella lo choc di aver pianto un estraneo, né le domande ancora aperte su una vicenda che richiede chiarezza.
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