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Gossip

Emily Ratajkowski sconvolge la città con il “city kini”!

Emily Ratajkowski, la regina dei bikini, ha sconvolto le strade di New York City con il suo ultimo “citykini”! In un’audace mossa di moda, la celebre modella ha trasformato il West Village in una passerella improvvisata per presentare la sua ultima collezione di beachwear, firmata Inamorata. Con colori vivaci e uno stile inconfondibile, Emily ha fatto girare la testa di tutti, dimostrando ancora una volta di essere un’icona di stile indiscussa.

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    Non è certo una sorpresa che Emily Ratajkowski, la super modella dai mille talenti, riesca sempre a far parlare di sé. Famosa per il suo corpo impeccabile e per aver calcato le passerelle più prestigiose del mondo, Emily ha recentemente fatto impazzire i social con un post decisamente provocatorio.

    In un nuovo scatto condiviso su Instagram, Emily ha sfoggiato un bikini a due pezzi in pieno centro città, dimostrando che per lei non esistono limiti tra la spiaggia e la vita urbana. La didascalia sotto le foto, un audace “CITY KINI!”, ha subito catturato l’attenzione dei suoi milioni di follower.

    Le immagini, che la ritraggono camminare con disinvoltura tra le strade deserte, hanno subito fatto il giro del web. I fan sono impazziti, i commenti si sono moltiplicati e i like sono piovuti a pioggia. La modella è nota per la sua capacità di unire moda e audacia, e questa volta non ha deluso le aspettative.

    Emily, con la sua figura statuaria e il suo inconfondibile stile, ha trasformato una semplice passeggiata in città in un evento degno di nota. Non c’è dubbio, Ratajkowski sa come mantenere alta l’attenzione su di sé e ogni sua mossa diventa subito trend.

    Ma la nostra Emily non fa mai nulla senza un motivo. In realtà, si tratta solo della promozione della nuova collezione di costumi da bagno del suo brand Inamorata Woman.

    Il “City Kini” è già sulla bocca di tutti e ci si chiede se diventerà la nuova moda dell’estate. Una cosa è certa: Emily Ratajkowski continua a stupire e a far sognare, confermandosi regina indiscussa del glamour e dell’audacia. Scopri anche la tendenza no pants.

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      Gossip

      Steve-O e la nuova folle idea: impiantarsi il seno per scherzo

      Steve-O, famoso per le sue acrobazie folli e iper la sua breve storia con Elisabetta Canalis ha aggiunto un nuovo capitolo alla sua carriera di shock e risate. Questa volta, ha scelto di farsi impiantare seni finti, un gesto decisamente fuori dal comune, anche per lui.

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        Non c’è limite alla follia di Steve-O, la star di Jackass che sembra voler superare se stesso ogni volta con stunt sempre più assurdi. La sua ultima “genialata”? Impiantarsi due seni finti per filmare scherzi con telecamere nascoste. Ecco come il comico ha deciso di diventare ancora più estremo, spingendo il concetto di body modification a nuovi livelli di assurdità.

        Una chirurgia senza etica?

        Steve-O ha dichiarato di aver consultato i migliori chirurghi per ottenere una coppa D e che l’operazione è stata approvata senza alcun problema etico. Ma che tipo di etica medica permette simili interventi solo per far ridere? L’idea di modificare il proprio corpo chirurgicamente per fini di intrattenimento solleva domande inquietanti sullo stato attuale della nostra cultura pop. “Mi è venuta l’idea qualche anno fa di rifarmi il seno e di filmare un sacco di scherzi divertenti con telecamere nascoste,” ha spiegato. Ma è davvero questo il tipo di esempio che vogliamo dare al pubblico?

        Un esempio discutibile

        Cosa ci dice questa storia su quanto siamo disposti a fare per finire al centro dell’attenzione mediatica? Steve-O, noto per la sua breve storia con Elisabetta Canalis, sembra disposto a tutto pur di rimanere rilevante. Nonostante le potenziali reazioni negative, il comico crede fermamente nel suo progetto, affermando che la body modification è sempre stata parte del suo essere. Ma a quale costo?

        Il comico, famoso per i suoi stunt scioccanti e dolorosi, ha persino lasciato intendere che la data del suo intervento è imminente, dimostrando che per lui l’asticella della follia può essere sempre alzata. Ma forse è giunto il momento di chiederci se questo tipo di comportamento, spinto all’estremo solo per far ridere, non meriti una seria riflessione sullo stato dell’intrattenimento moderno e sulle sue implicazioni etiche.

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          Personaggi

          Maria Grazia Cucinotta: 30 anni (di cinema) e non sentirli, sfiorata dal #meetoo

          Un bilancio di 30 anni di professione per maria Grazia Cucinotta, fra grandi incontri ed opportunità (in primis quella di lavorare al fianco di Massimo Troisi, che la scelse come partner)… ma anche con qualche zona d’ombra: un tentativo di stupro e, la dislessia. E l’incontro con Harvey Weinstein.

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            Quando si parla di lei vengono in mente due immagini, distinte ma complementari: quello della classica bellezza meridionale, capelli scuri, forme prosperose, tratti marcati… e il suo ruolo da esordiente come Beatrice ne Il Postino, come destinataria delle famose metafore del personaggio interpretato da Massimo Troisi. Da quel momento per Maria Grazia Cucinotta sono trascorsi 30 anni di tempo, pieni di film, di incontri, di opportunità e di vita vera.

            Al cospetto di Massimo Troisi, senza nessuna esperienza

            Rievocando con lei il provino con l’indimenticabile attore napoletano, lei – consapevole che stava per interpretare il ruolo più importante della sua vita – l’emozione, seppur sottile e stemperata dal grande mestiere, affiora ancora: «Mi scelse dai provini. Fu Nathaly Caldonazzo a riferirgli di me. Le sono grata e le voglio bene, anche se non ci parliamo più. Mi tremavano le gambe a stare lì seduta di fronte a lui a leggere un copione. Io poi, che sono dislessica… mi mancava la preparazione, non avevo alcuna esperienza».

            L’umanità del grande partner

            Troisi non stava cercando un mostro di recitazione ma naturalezza e capacità di emozionare gli altri: «Lui non voleva che fossi tecnica: “Non devi recitare perché si vede”. Non considerava un difetto neppure la dislessia, mi diceva solo di non correre. Ricordo anche il tic tac che pensavo fosse un orologio e invece era il suo cuore. Per fortuna feci finta di niente e non feci gaffe».

            Le reazioni di alcuni colleghi illustri

            Un ruolo che si trasformò in una fortuna immensa. Però anche irreplicabile. Cita spesso l’abbraccio stretto che le riservò il regista Oliver Stone, confessandole che Il postino era il film più bello che avesse mai visto. Gina Lollobrigida invece le disse: “Vai avanti e non curarti delle cose che non sono importanti, come chi non ti riconosce. Viva le nuove facce e viva le nuove generazioni”.

            I problemi con la dislessia

            La dislessia le creò problemi concreti, lei non fa fatica ad ammetterlo, soprattutto ai tempi della scuola: «Da giovane avevo gli attacchi di panico alle interrogazioni. Non sono cresciuta in un quartiere facile, a un certo punto pensarono che fossi drogata, perché di droga ne girava tanta. Mia madre era disperata. Più collassavo e più passavo per la scema del villaggio».

            Un ricordo speciale per il suo James Bond

            Per lei, che ha lavorato a fianco di grandissimi attori, Philippe Noiret su tutti, non deve essere facile rispondere ad una domanda su quali siano i suoi partner preferiti, soprattutto in termini di affinità. Ma anche in questo sa sorprenderti per naturalezza e spontaneità: «Pierce Brosnan è una persona fantastica. Quando ha saputo che mia sorella stava male (per un tumore, ndr) mi ha scritto immediatamente. Un gesto che mi ha emozionato». D’altronde non è da tutte poter affermare di essere stata una Bond girl, nella fattispecie in Il mondo non basta del 1999, con l’agente di Sua Maestà interpretato proprio da Brosnan.

            In America e ritorno, con una punta di rimpianto

            Fra i colleghi italiani cita volentieri Ester Pantano e Francesca Inaudi. Con una predilezione speciale nei confronti anche di Gabriel Garko, persona che definisce «deliziosa e che ha sofferto tanto». Non considerando l’Italia un paese che brilla per meritocratica, lasciò tutto e andò negli States. Anche se poi il richiamo del paese natale fu irresistibile: «Mio marito non mi avrebbe mai raggiunta e volevo che mia figlia nascesse qui. Gli Usa danno moltissimo alla tua carriera e al tuo ego, ma umanamente ti tolgono molto. Un rimpianto di essermene andata però ce l’ho».

            Sex symbol?!? Lei si sentiva ingombrante

            Simbolo di erotismo made in Italy, rifiutò un film come L’avvocato del diavolo per le scene di nudo che conteneva: «Bisogna essere realisti: non credo l’avrei fatto bene. Non ho mai avuto un buon rapporto con il mio fisico, soprattutto con il mio seno. Mi hanno anche definita sex symbol ma io mi sono sempre sentita ingombrante. Se a vent’anni avessi avuto la consapevolezza del mio corpo che ho adesso, sarebbe stato tutto molto più facile. Oggi ringrazio Dio di essere come sono».

            Un brutto momento a Parigi che l’ha segnata

            Nel suo passato un momento drammatico, nel quale scampò ad uno stupro, che per anni l’ha tormentata: «Ho camminato per tanto tempo col gas paralizzante stretto in mano, perché in quei momenti non hai tempo di aprire la borsa. Successe di giorno, a Parigi, era un uomo in giacca e cravatta. Credo proprio ci sia stato l’intervento di un angelo perché cadde mentre mi stava strattonando, così riuscii a scappare. La polizia non fece niente. Ho trasmesso la paura anche a mia figlia, mi dice sempre che le metto l’ansia».

            Sfiorata dal Mee Too

            Parlando di questo argomenti, non si può non ricordare che l’attrice ha lavorato anche con Harvey Weinstein, durante tutta la promozione per Il postino. Anche se con lei non ebbe mai comportamenti sconvenienti, avendo la fila di ragazze che volevano stare con lui.

            Tre decadi di cinema, tre decadi d’amore… col sogno di risposarsi

            Trent’anni di cinema ma anche gli stessi anni di relazione con Giulio Violati, l’altro grande successo della sua vita, insieme alla loro figlia Giulia: «Ai 25 volevamo risposarci, era tutto pronto per una cerimonia in casa, mi ero fatta fare un tubino di pizzo da sogno. Poi c’è stato il lockdown. Questa volta non ce la toglierà nessuno».

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              Reali

              La notte segreta della regina Elisabetta tra la folla in festa: “Una delle più memorabili della mia vita”

              Londra, 8 maggio 1945. La guerra è finita. E tra le migliaia di cittadini che affollano le strade in un’esplosione di gioia, ci sono due ragazze in uniforme militare. Una ha diciannove anni, l’altra quattordici. Nessuno sa chi siano. Nessuno immagina che, tra i cori, le bandiere e i balli improvvisati, ci siano anche le figlie del re. Una di loro, pochi anni dopo, sarà la regina più longeva della storia britannica.

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                Ottant’anni sono passati dal VE Day, il giorno della vittoria in Europa, quando gli Alleati sconfissero la Germania nazista e la Seconda guerra mondiale giunse al termine sul fronte occidentale. Era il tramonto dell’orrore e l’alba della speranza. E per Elisabetta II, che all’epoca era ancora una giovane principessa, quella fu una notte speciale, unica, irripetibile.

                È stata lei stessa a raccontarla, molti anni dopo, in una registrazione per la BBC del 1985: «Eravamo terrorizzate all’idea di essere riconosciute», ricordò con un sorriso nostalgico. Invece di restare a palazzo, lei e la sorella Margaret, figlie di re Giorgio VI e della regina madre, decisero di vivere da vicino la gioia della gente. Camminarono tra i londinesi, protette solo da uniformi militari e da un cappello calato sugli occhi. Nessun servizio fotografico, nessuna telecamera: solo il ricordo indelebile di una notte vissuta tra le braccia del popolo.

                «Ci mischiammo a una folla che cantava, ballava, piangeva di felicità», raccontava Elisabetta. E poi una scena che oggi suona quasi irreale: «Acclamammo il Re e la Regina dal balcone di Buckingham Palace… e poi tornammo tra la folla. Camminammo per chilometri lungo Whitehall, tenendoci per mano con perfetti sconosciuti. Tutti travolti da un’unica emozione: la felicità di essere ancora vivi».

                Il momento fu così importante per la futura sovrana che, nel 2020 — in piena pandemia — volle ricordarlo durante il discorso al Paese per il 75° anniversario del VE Day. Un discorso pronunciato con voce ferma, mentre il Regno Unito affrontava un altro nemico, invisibile e subdolo, chiamato Covid-19. «Le prospettive sembravano cupe, l’esito incerto», disse quella sera. «Ma continuammo a credere nella nostra causa. Mai arrendersi, mai disperare: questo fu il messaggio del VE Day».

                Una notte diventata leggenda

                Quella “fuga reale” nella notte londinese è entrata nel mito. Nessuna immagine, nessuna prova tangibile, ma decine di testimoni che anni dopo raccontarono di aver ballato con due ufficiali “molto giovani”, ignari di avere accanto due principesse.

                E non sorprende che questa pagina così umana, così straordinariamente semplice, sia stata anche raccontata nella sesta stagione di “The Crown”, la serie Netflix sulla famiglia reale britannica. In quella puntata, le attrici Viola Prettejohn e Beau Gadsdon, nei panni di Elizabeth e Margaret, si muovono tra i lampioni e le musiche della Londra del ’45, tra champagne clandestino e passi incerti, restituendo al pubblico il senso autentico di quella notte: una principessa che, per una sera, voleva essere soltanto una ragazza.

                Un piccolo episodio, eppure capace di restituire una delle qualità più rare della defunta sovrana: la discrezione. Perché Elisabetta non ha mai fatto di quella storia un motivo di autocelebrazione. Non si è mai vantata, non ha mai preteso che diventasse parte del suo mito. L’ha raccontata come si racconta una nostalgia privata, un frammento di libertà incastonato in un destino già scritto.

                Il simbolo di un’epoca

                Oggi, mentre il Regno Unito celebra l’80° anniversario del VE Day, la memoria di quella notte prende un valore diverso. Non è solo l’aneddoto curioso di una regina “in incognito”, ma il simbolo di un tempo in cui la famiglia reale cercava — davvero — di essere vicina al popolo. Un gesto piccolo ma potente, che seppe unire monarchia e cittadinanza in un’unica emozione collettiva.

                E proprio in quell’intreccio, forse, va cercata una delle chiavi del lunghissimo regno di Elisabetta II. Quella notte di maggio, tra brindisi improvvisati e marce di soldati ormai liberi, non era ancora una sovrana. Ma già allora sapeva ascoltare il suo popolo.

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