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Curiosità

La calza della Befana: una tradizione che non passa mai di moda

Dopo il Capodanno è normale pensare a cosa mettere nella calza della Befana. Il 6 gennaio è una data che viene vissuta sempre un po’ con malinconia visto che è la chiusura del periodo dedicato alle feste e ai festeggiamenti, amche se la tradizione della calza sono in moltissimi a rispettarla.

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    Perc contrastare il bad mood che ci prende un po’ tutti alla fine delle festività, è bene accogliere la visita della Befana nel migliore dei modi. Perché se è Babbo Natale a rendere magico il periodo grazie ai doni che fa trovare la mattina del 25 dicembre sotto l’albero, la signora con «le scarpe tutte rotte» non dimentica mai qualche pensiero, dolce e non, la mattina dell’Epifania.

    Basta usare quel calzino stinto e liso…

    Per farlo, è d’obbligo l’iconica calza e, se un tempo si cercava il calzino più lungo all’interno del proprio cassetto, oggi questo piccolo dettaglio viene curato in maniera molto più precisa. Con calze della Befana colorate, ricamate, personalizzate e non solo. Un’usanza tipicamente anglosassone dove, queste calze, sono legate al periodo natalizio e non solamente del sei gennaio.

    Come prepararla

    I dolci di tutti i genere ovviamente non possono mancare, per chi ha poca inventiva ci sono dei modelli già pronti per essere appesi e donati. Ma se invece si volesse mantenere la tradizione e realizzarla con le proprie mani e, soprattutto, la propria fantasia? Ecco di seguito tutto quello che si deve sapere, conoscere e ovviamente acquistare.

    La tradizione


    Le origini legate alla Befana vantano radici molto lontane e, soprattutto, molto diverse tra loro. Tra queste, ad esempio, una racconta di come una povera vecchietta, pentita di aver risposto in malo modo ai Re Magi, prese a girare di casa in casa alla ricerca dei tre uomini con un sacco pieno di dolci da donare a chiunque incontrasse per la sua strada. Come è noto, una volta la Befana aveva un ruolo molto importante nella tradizione italiana, nei primi del ‘900 infatti era lei a portare doni e regali ai più piccoli, mentre Babbo Natale era ancora poco famoso e celebrato. E, ovviamente, i doni erano spesso legati al mondo rurale di cui era popolata la penisola. Nella calza, quindi, si trovavano spesso noci, nocciole, mandarini, mele e qualche piccolo dolciume fatto in casa. I più fortunati, poi, potevano anche trovarvi bambole di pezza o costruzioni in legno.

    Un trionfo di zucchero, manna per i dentisti!

    Oggi, ovviamente, le cose sono cambiate, la calza della Befana è il momento perfetto per gustare caramelle, dolci, cioccolatini e tante altre piccole sfiziosità locali e non. Immancabili, ovviamente, sono le caramelle gommose, colorate e saporite. A questo si aggiungono cioccolata e cioccolatini, di tutte le dimensioni e, per concludere, il carbone di zucchero perché qualche mancanza durante l’anno si è commessa di sicuro…

    L’alternativa ai soliti dolci

    Anche se Babbo Natale avrà anche portato i regali, perchè non trovare spazio per qualcosa di nuovo? Una bella idea sono i giochi di carte, perfetti per chi ama coinvolgere tutta la famiglia, o Throw Throw Burrito, un play game virale su TikTok, perfetto per coinvolgere anche i bambini più grandi. Un’altra idea può essere un biglietto per il cinema, magari per Oceania 2, l’ultimo cartone Disney che ha riempito le sale a Natale…

    E per i grandi?

    La regola generale, se dovete preparare una calza per un adulto, è assecondare le passioni di ognuno: l’amico amante dello street style e dell’arte apprezzerà i calzini di Stance, mentre la fashion lover non potrà rinunciare a un berretto caldissimo e dal colore inusuale. Per il musicofilo un cd appena uscito e per il “precisino” di turno una bella agenda personalizzata con nome e cognome. Per l’amico jellato, infine… un bel biglietto della Lotteria Italia!

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      “Baby influencer”: quando la visibilità dei figli diventa un rischio per la loro privacy

      Minori protagonisti sui social: genitori-influencer li espongono quotidianamente, spesso senza limiti né consapevolezza. Il fenomeno solleva questioni di tutela, consenso e diritto all’oblio che ancora in gran parte restano irrisolte.

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      Baby influencer

        Negli ultimi anni, il fenomeno delle famiglie “influencer” ha rapidamente evoluto il suo volto: accanto ai creator che mostrano se stessi in video e post, sono sempre più i minori protagonisti consapevoli o meno di una narrazione social fatta per like, follower e sponsor. Questi piccoli protagonisti, spesso ancora in età prescolare, sono al centro di contenuti pubblici, collaborazioni commerciali e sponsorizzazioni. Ma mentre il business cresce, emergono questioni complesse: chi tutela la privacy dei figli, consenzienti o meno? E quali rischi comporta questa esposizione costante?

        Una recente ricerca inglese su influencer materne ha analizzato 5.253 post Instagram, mostrando che nei contenuti oltre il 74% include l’immagine di un bambino e che il 46% dei post che li riguardano sono sponsorizzati. Un’altra indagine segnala come circa il 37,6% dei post includa dati personali del minorenne – nome, età, luoghi frequentati – con impatti potenzialmente duraturi. I rischi non sono solo teorici: la “digital footprint” dei minori inizia come un album virtuale di famiglia e può culminare in esposizioni indesiderate, sfruttamento economico o addirittura usi illecito delle immagini.

        Sharenting e baby influencer: confine labile tra famiglia e contenuto

        Il termine “sharenting” sintetizza la pratica con cui i genitori condividono in rete non solo foto o video dei figli, ma momenti intimi, quotidiani, spesso al servizio di un progetto digitale. Quando questa condivisione diventa sistematica, strutturata e orientata al profitto, ecco che si parla di “baby influencer”: bambini quasi sempre troppo piccoli per parlare di consenso informato, ma pienamente coinvolti in strategie di visibilità e branding.

        In Italia le normative faticano a tenere il passo: finora mancano regole robuste che definiscano limiti chiari a protezione dei minori nei contenuti digitali. Secondo un recente articolo di Agenda Digitale, è aperta la discussione su norme che prevedano la destinazione dei proventi derivanti dai canali con minori, limiti di età per collaborazioni e controlli sugli orari e i contenuti. In pratica, una legge di prossima introduzione mira a stabilire che se un genitore guadagna oltre una certa soglia grazie al figlio, il denaro vada su un conto vincolato intestato al minorenne.

        Quali sono i rischi reali per il bambino?

        Il minore protagonista online può trovarsi esposto a vari pericoli:

        • La mancanza di consenso: i bambini non hanno l’età per capire appieno le conseguenze della presenza online e della monetizzazione della propria immagine.
        • Sovraesposizione e vulnerabilità: post frequenti con il volto, nome e dati possono generare una identità digitale permanente e irreversibile.
        • Impatto psicologico: la trasformazione della vita quotidiana in contenuto porta a precarietà identitaria, possibile ansia da performance e difficoltà a separare il sé reale dal sé mediatico.
        • Sfruttamento economico: contenuti professionali, sponsor e guadagni che si appoggiano sul minore come “marchio” sollevano interrogativi etici e legali.

        Verso una tutela digitale e culturale

        Per affrontare queste sfide, esperti, associazioni e istituzioni suggeriscono una doppia via: culturale e normativa. È essenziale che i genitori riflettano sul valore della privacy infantile, considerino ogni post come atto responsabile e non solo come “condivisione divertente”. Allo stesso tempo, occorre fare sistema: regolamentazioni trasparenti, limiti all’uso commerciale dell’immagine del minorenne e obbligo di destinare i proventi a favore della sua crescita.

        In Italia alcuni progetti di legge sono in fase di esame e mirano a colmare il vuoto normativo in materia di baby influencer, introducendo controlli analoghi a quelli collaudati per le modelle e gli attori minorenni.

        L’immagine di un bambino non è mai solo un post: è una traccia digitale, un diritto e una responsabilità. Quando una famiglia decide di trasformare la quotidianità di un figlio in contenuto virale, è chiamata non solo a riflettere sul presente, ma anche sul futuro del minore. E la società, da parte sua, deve garantire che quella visibilità non diventi una forma di esposizione irreversibile.

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          Curiosità

          Esiste una macchina per il trapianto di testa? Ecco un video shock

          Recentemente, su YouTube è apparso un video che ha lasciato il pubblico senza parole, mostrando una procedura di trapianto di testa. Il video, che ha rapidamente accumulato migliaia di visualizzazioni, presenta una sequenza dettagliata e inquietante di quello che sembra essere un trapianto di testa umana.

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            Recentemente, su YouTube è apparso un video che ha lasciato il pubblico senza parole, mostrando una procedura di trapianto di testa. Il video, che ha rapidamente accumulato migliaia di visualizzazioni, presenta una sequenza dettagliata e inquietante di quello che sembra essere un trapianto di testa umana. Tuttavia, è importante chiarire che si tratta soltanto di un concetto futuristico e non di una procedura realmente eseguita.

            Un concetto avanzato di BrainBridge, il trapianto di testa

            Il video virale si basa sul concetto di BrainBridge, il primo sistema integrato al mondo che combina robotica avanzata e intelligenza artificiale per eseguire trapianti di testa e viso. Questo sistema all’avanguardia, sebbene ancora teorico, offre una nuova speranza per i pazienti affetti da condizioni incurabili come il cancro allo stadio 4, la paralisi e le malattie neurodegenerative come l’Alzheimer e il Parkinson.

            Robotica e intelligenza artificiale al servizio della medicina

            BrainBridge rappresenta un’innovazione straordinaria nel campo della medicina. La tecnologia avanzata utilizzata nel concetto di BrainBridge include robot chirurgici ad alta precisione e algoritmi di intelligenza artificiale che analizzano dati in tempo reale per supportare i chirurghi. Questo sistema mira a realizzare operazioni con una precisione ineguagliabile, riducendo al minimo il rischio di errori umani.

            Reazioni del pubblico

            Il video ha suscitato reazioni contrastanti tra gli spettatori. Mentre alcuni sono affascinati dalle possibilità offerte dalla tecnologia medica avanzata, altri sono preoccupati per le implicazioni etiche e morali di un trapianto di testa. La visione di una procedura così radicale, anche se solo concettuale, ha scatenato un dibattito acceso sui limiti della scienza e della medicina.

            Il futuro della chirurgia?

            Sebbene il video su YouTube mostri un trapianto di testa come se fosse una realtà imminente, è fondamentale ricordare che al momento si tratta solo di un’idea teorica. BrainBridge è ancora in fase di sviluppo e potrebbe passare molto tempo prima che una procedura del genere possa essere realmente eseguita. Tuttavia, la sua esistenza come concetto stimola la discussione su ciò che potrebbe essere possibile in futuro grazie alla continua evoluzione della tecnologia medica.

            Il video scioccante di un trapianto di testa su YouTube ha sicuramente catturato l’attenzione del pubblico globale. Sebbene attualmente si tratti solo di un concetto avanzato rappresentato da BrainBridge, esso apre le porte a un futuro in cui la robotica e l’intelligenza artificiale potrebbero rivoluzionare la chirurgia e la medicina rigenerativa. Fino ad allora, continueremo a esplorare i limiti della scienza e a discutere le sue potenziali applicazioni.

            Ricordiamo che poco fa, Elon Musk ha annunciato che Tesla, negli sviluppi futuri dell’azienda rientrerebbe la realizzazione di robot umanoidi oltre che di veicoli.

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              “Dolcetto o scherzetto?” – La vera storia dietro la tradizione di Halloween

              Da rito celtico a festa globale, il viaggio secolare di una delle usanze più amate (e fraintese) del 31 ottobre

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              Halloween

                “Dolcetto o scherzetto?” È la frase che ogni anno, la notte del 31 ottobre, risuona nei quartieri di mezzo mondo. Bambini travestiti da streghe, fantasmi e supereroi vanno di casa in casa alla ricerca di caramelle, in una delle tradizioni più riconoscibili di Halloween. Ma da dove nasce davvero questa usanza? E come si è trasformata da rito pagano a fenomeno globale di costume?

                Le origini: Samhain, la notte in cui il velo si assottiglia

                Tutto inizia molto prima della comparsa di zucche e costumi, nell’antica Irlanda celtica, oltre duemila anni fa. I druidi celebravano Samhain, il capodanno celtico che segnava la fine dell’estate e l’inizio della stagione oscura. Si credeva che, in quella notte, il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti si assottigliasse, permettendo agli spiriti di tornare sulla terra.
                Per tenere lontane le anime maligne, le persone accendevano fuochi sacri, lasciavano offerte di cibo davanti alle porte e indossavano maschere spaventose per confondere gli spiriti.

                Dalla superstizione alla religione

                Con l’avvento del cristianesimo, la Chiesa cercò di sostituire le antiche feste pagane con ricorrenze religiose: così, nel IX secolo, il 1° novembre divenne la festa di Ognissanti (All Hallows’ Day) e la notte precedente “All Hallows’ Eve”, da cui deriva il nome Halloween.
                La pratica di lasciare offerte ai defunti sopravvisse, ma si trasformò gradualmente: i poveri andavano di casa in casa chiedendo “soul cakes”, piccoli dolci in cambio di preghiere per le anime dei defunti. Era una sorta di “proto-trick or treat”, diffusa soprattutto in Inghilterra e Irlanda.

                L’approdo in America e la nascita del “trick or treat”

                Furono gli immigrati irlandesi e scozzesi, nell’Ottocento, a portare la tradizione di Halloween negli Stati Uniti. Qui, le usanze europee si fusero con la cultura americana, trasformandosi in un’occasione festosa più che spirituale.
                Nel primo Novecento, il “trick or treat” (letteralmente “scherzetto o dolcetto”) cominciò a comparire nei giornali e nelle scuole come modo per tenere i giovani lontani dai vandalismi tipici di quella notte. La frase minacciava scherzi in caso di rifiuto, ma divenne presto un gioco innocente e comunitario, consolidandosi dopo la Seconda guerra mondiale, quando lo zucchero tornò disponibile e i dolci divennero parte integrante della festa.

                Dalla zucca alle vetrine globali

                La Jack O’ Lantern, la zucca intagliata con un volto e illuminata da una candela, arriva sempre dall’Irlanda, dove si usavano inizialmente rape o barbabietole. La leggenda di Jack, l’avaro che ingannò il diavolo e fu condannato a vagare con una lanterna fatta di ortaggio, divenne il simbolo della notte più spettrale dell’anno. Negli Stati Uniti, le zucche arancioni, più grandi e facili da scavare, presero il suo posto e contribuirono a definire l’immaginario di Halloween.

                Halloween oggi: tra folklore e consumismo

                Oggi Halloween è una festa globale, celebrata in oltre 30 Paesi e con un impatto economico miliardario. Solo negli Stati Uniti, nel 2024, si sono spesi più di 12 miliardi di dollari in costumi, decorazioni e dolciumi, secondo la National Retail Federation.
                Anche in Italia la tradizione ha preso piede, soprattutto tra i più giovani, diventando un mix di folklore anglosassone e creatività locale. Nonostante alcune critiche legate alla commercializzazione, resta un’occasione per condividere divertimento, fantasia e — perché no — un pizzico di paura.

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