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Lifestyle

Estate 2024: ombrellone ma quanto mi costi?

Nel 2024, il posto in spiaggia costerà in media il 4% in più rispetto alla scorsa estate. Con Alassio maglia nera come spiaggia più cara: per una settimana in prima fila si spendono 392 euro, mentre a Senigallia solo 155euro.

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    Quanto ci costerà un ombrellone e due sdraio nell’Estate 2024? Ce lo chiediamo in tanti. La rivista Altroconsumo ha realizzato una indagine monitorando una decina di città e raccogliendo le tariffe di 211 stabilimenti balneari, dalla prima alla quarta fila. Aumenti in vista ma non così eccessivi. Dipende dalle località. Rispetto all’anno scorso, il posto in spiaggia ci costerà in media il 4% in più. Certo Alassio resta la più cara. Nella cittadina ligure si spenderanno mediamente 392 euro (per una settimana). Si può risparmiare certo. Ma bisogna cercare la località giusta o magari accontentarsi di sdraiarsi nelle ultime file.

    L’aumento dei prezzi… segue l’inflazione

    Per trovare una località balneare dove il posto spiaggia non costi una fortuna, dobbiamo fare attenzione a dove prenotare. Fra uno stabilimento privato e l’altro ci può essere una bella diversità di prezzo. L’indagine di Altroconsumo sul costo del posto in spiaggia mette in luce proprio le differenze non solo fra una località e l’altra, ma anche fra la prima e le altre file a seguire. Quest’anno ci sono stati molti ritocchi di prezzo applicati qua e là nei listini di tanti lidi italiani, ma è certo che negli ultimi anni andare al mare in una struttura organizzata sta diventando un vero e proprio lusso.

    L’aumento più alto a Senigallia (che però è la meno cara)

    Le tariffe praticate dagli stabilimenti balneari di Lignano, Rimini, Senigallia, Viareggio, Palinuro, Alassio, Gallipoli, Alghero, Taormina e Giardini Naxos sono indicative dei rincari medi nazionale. In totale sono stati interpellati in maniera anonima 211 stabilimenti chiedendo le tariffe per le prime quattro file per la settimana dal 4 al 10 agosto. il momento clou. Mediamente, la prima fila costa 226 euro, cifra che si riduce a mano a mano si va a scegliere le file successive. In seconda, per esempio, il costo medio è di 210 euro, 199 euro in terza, 186 dalla quarta in poi. Il confronto è stato fatto con le tariffe dello scorso anno, prendendo come riferimento il costo medio delle prime quattro file. In alcuni casi ci sono buone notizie. Per esempio a Lignano, Taormina e Giardini Naxos, per esempio, non c’è stato alcun aumento rispetto al 2023.

    Le località più costose

    Qualche “aggiustatina” invece c’è stata ad Alghero e Gallipoli (2%), Alassio, Anzio e Palinuro (3%), Rimini (4%) e Viareggio (5%). Più elevato, ma in linea con l’inflazione, l’aumento rilevato a Senigallia (8%), che resta comunque la località meno cara tra quelle monitorate. Rispetto all’anno scorso, dunque, ci sono stati piccoli ritocchi dei prezzi. Ma queste continue variazioni al rialzo sono diventate ormai una lenta e costante tendenza. Mini aumenti che vanno a sommarsi a quelli più consistenti verificatisi negli anni passati (il 5% medio del 2023, 10% nel 2022…).

    E’ Alassio la regina delle più costose

    Tra le località balneari più economiche a Senigallia, la prima fila ti costerà 155 euro, contro i 392 che si devono sborsare per sdraiarsi al sole di Alassio, la località più cara tra quelle monitorate. Sull’alto Adriatico un’altra buona scelta in termini di prezzi viene è proposta da Lignano Sabbiadoro dove la prima fila costa 164 euro. Seguono Rimini (165 euro), Palinuro e Viareggio (209), Taormina e Giardini Naxos (215). La perla della Liguria non è l’unica meta ad avere prezzi alle stelle. Al sud anche Gallipoli non scherza. In media si pagano 289 euro per la prima fila mentre ad Alghero 239 euro.

    Per calmierare i costi più concorrenza

    Perché le vacanze siano un po’ più economiche servirebbe più concorrenza. In questi giorni si dibatte ancora una volta, e senza trovare soluzioni, sulla questione delle concessioni balneari. Il sistema di rilascio dei permessi per gli stabilimenti balneari privati deve essere riorganizzato in tempi stretti, attraverso nuovi bandi di gara. Nell’attesa a pagare siamo noi consumatori, perché questa situazione di stallo, con le concessioni che restano in mano agli stessi operatori, si ripercuote sul prezzo di lettini e ombrelloni, ogni anno più costosi ed elitari. Sarebbe davvero importante arrivare presto a una riforma del settore “spiagge”.

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      Arte e mostre

      I presepi più belli d’Italia: viaggio tra le meraviglie della tradizione

      Dal Presepe di Manarola al celebre San Gregorio Armeno, dalla Natività dei Frati Cappuccini di Genova ai borghi che si trasformano in palcoscenici a cielo aperto: una guida per scoprire le tappe imperdibili.

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      I presepi più belli d’Italia

        Ogni anno, con l’arrivo di dicembre, l’Italia riscopre una delle sue tradizioni più radicate: il presepe. Nato in area mediterranea e codificato nel Medioevo, il presepio si è evoluto in forme diversissime a seconda delle regioni, dando vita a opere artistiche, allestimenti monumentali e vere e proprie scenografie urbane. Ecco una selezione dei presepi più suggestivi che vale la pena visitare.

        San Gregorio Armeno, Napoli: la capitale del presepe

        Nel cuore di Napoli, la strada dei presepi per eccellenza è un simbolo internazionale dell’artigianato partenopeo. A San Gregorio Armeno si producono pastori e miniature tutto l’anno, con botteghe che tramandano tecniche secolari. Qui convivono statuine della Natività, figure popolari e personaggi contemporanei: un incontro unico tra devozione e creatività.

        Il Presepe di Manarola, Liguria: la Natività più grande del mondo

        Sulle colline delle Cinque Terre, Manarola ospita un presepe luminoso di dimensioni record. Ideato negli anni Settanta da Mario Andreoli, l’allestimento utilizza migliaia di lampadine e sagome ricavate da materiali riciclati. Ogni dicembre la collina soprastante il borgo si trasforma in un’immensa scenografia visibile anche dal mare, oggi completamente alimentata da energia rinnovabile.

        Greccio, Lazio: dove tutto ebbe inizio

        Secondo la tradizione francescana, fu a Greccio che nel 1223 San Francesco realizzò il primo presepe vivente della storia. Il santuario che domina il paese offre un percorso museale dedicato alla Natività e ogni anno vengono proposte rievocazioni che riportano l’atmosfera del Medioevo. Una tappa fondamentale per chi vuole riscoprire le origini del presepe.

        Il Presepe dei Cappuccini, Genova: un capolavoro di scuola ligure

        Nel Museo dei Beni Culturali Cappuccini si trova una delle collezioni presepiali più raffinate d’Italia. Le statue lignee policrome del Settecento, opera di maestri come Anton Maria Maragliano, sono esposte in scenografie che ricostruiscono ambienti quotidiani e paesaggi pastorali. Un esempio magistrale della tradizione artistica ligure.

        Città dei Presepi: le mostre e i borghi che si trasformano

        Molti centri italiani dedicano interi quartieri alla Natività. A Verona, ad esempio, la grande mostra internazionale nella suggestiva cornice dell’Arena raccoglie presepi provenienti da tutto il mondo. In Umbria, Gubbio propone un presepe meccanico ospitato all’interno della chiesa di San Francesco della Pace, mentre a Matera le rappresentazioni viventi sfruttano l’unicità dei Sassi per creare ambientazioni naturali di grande impatto visivo.

        Ceramica e tradizione: il presepe di Deruta

        Nel borgo umbro celebre per le sue ceramiche artistiche, ogni anno viene allestito un presepe monumentale con figure in terracotta dipinte a mano secondo la tradizione locale. Un esempio di come l’artigianato regionale possa dare nuova vita alla narrazione sacra.

        In Italia il presepe non è soltanto un simbolo religioso: è un linguaggio culturale che varia di regione in regione, un racconto condiviso che ogni anno si arricchisce di nuove interpretazioni. Che si tratti di un borgo intero trasformato in palcoscenico o di un’opera custodita in un museo, visitare questi luoghi significa entrare nel cuore della tradizione natalizia.

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          Lifestyle

          Dire “no” ai figli: un atto educativo che costruisce sicurezza e fiducia

          Imparare a negare una richiesta senza urlare, colpevolizzare o cedere è una delle sfide più complesse per i genitori. Ma dire “no”, se fatto nel modo giusto, aiuta i bambini a crescere più sicuri, autonomi e capaci di gestire le frustrazioni.

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          Dire “no” ai figli: un atto educativo che costruisce sicurezza e fiducia

            Dire “no” a un figlio è spesso vissuto come un fallimento o come una prova di durezza genitoriale. Eppure, psicologi dell’età evolutiva e pedagogisti concordano su un punto fondamentale: la capacità di accettare un limite è una competenza che si impara fin dall’infanzia. Evitare sistematicamente i rifiuti, o cedere per paura di far soffrire il bambino, può avere conseguenze negative nel lungo periodo.

            Perché dire “no” è necessario

            I bambini hanno bisogno di confini per orientarsi nel mondo. Le regole forniscono sicurezza, perché rendono prevedibile l’ambiente e aiutano a distinguere ciò che è possibile da ciò che non lo è. Studi in ambito psicologico mostrano che i figli cresciuti con limiti coerenti sviluppano una maggiore capacità di autocontrollo, tolleranza alla frustrazione e rispetto delle regole sociali.

            Dire sempre “sì” non rende i bambini più felici: al contrario, può aumentare ansia e insicurezza, perché li priva di punti di riferimento chiari.

            Come dire “no” senza ferire

            Il modo in cui si nega qualcosa è tanto importante quanto il rifiuto stesso. Gli esperti suggeriscono alcune strategie efficaci:

            • Essere chiari e coerenti: un “no” vago o contraddittorio confonde. Se una richiesta non è possibile, va detto con parole semplici e ferme.
            • Spiegare il motivo: adattando il linguaggio all’età del bambino, spiegare il perché del rifiuto aiuta a sentirsi rispettati e ascoltati.
            • Accogliere le emozioni: è normale che il figlio si arrabbi o si rattristi. Riconoscere il suo sentimento (“capisco che sei deluso”) non significa cambiare decisione.
            • Evitare urla e minacce: il tono calmo rafforza l’autorevolezza e riduce lo scontro emotivo.

            Dire no non significa chiudere il dialogo

            Un rifiuto può diventare un’occasione educativa se apre al confronto. In alcuni casi, è possibile proporre un’alternativa o rimandare: “oggi no, ma possiamo pensarci per un’altra volta”. Questo insegna ai bambini la negoziazione e l’attesa, abilità fondamentali nella vita adulta.

            Gli effetti a lungo termine

            Secondo diverse ricerche in ambito educativo, i bambini che crescono con genitori capaci di dire “no” in modo empatico sviluppano maggiore autostima e resilienza. Imparano che non tutto è immediatamente accessibile, ma anche che il rifiuto non intacca l’amore e la relazione.

            In conclusione

            Dire “no” a un figlio non è un atto di freddezza, ma una forma di cura. È un messaggio chiaro: “ti voglio bene abbastanza da aiutarti a crescere”. Quando il limite è spiegato, coerente e accompagnato dall’ascolto, diventa uno strumento potente per costruire adulti più equilibrati, responsabili e sicuri di sé.

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              Curiosità

              Babbo Natale, perché è rosso e bianco? La vera storia del vecchio barbuto più famoso del mondo

              Il costume rosso bordato di bianco non è un’invenzione improvvisa né solo una trovata pubblicitaria. Dietro il Babbo Natale moderno c’è una lunga evoluzione culturale che attraversa secoli, Paesi e tradizioni diverse.

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              Babbo Natale, perché è rosso e bianco?
              Babbo Natale, perché è rosso e bianco? La vera storia del vecchio barbuto più famoso del mondo

                Ogni dicembre, puntuale come le luci nelle città, torna l’immagine rassicurante di Babbo Natale: barba candida, pancione, abito rosso acceso e cappello coordinato. Ma da dove arriva davvero questo personaggio? E soprattutto, perché è vestito proprio di rosso e bianco?

                Le origini di Babbo Natale affondano le radici nella figura storica di San Nicola di Myra, vescovo vissuto tra il III e il IV secolo nell’attuale Turchia. San Nicola era noto per la sua generosità verso i poveri e per l’attenzione ai bambini, qualità che nei secoli hanno alimentato racconti e leggende. In molte zone d’Europa, soprattutto nel Nord, la sua figura si è trasformata in Sinterklaas, protagonista delle festività invernali nei Paesi Bassi. Spesso rappresentato con abiti vescovili, lunghi mantelli e colori vivaci.

                Con le migrazioni europee verso il Nuovo Mondo, queste tradizioni arrivano anche negli Stati Uniti. È qui che, tra Ottocento e primo Novecento, Babbo Natale inizia ad assumere un aspetto più laico e fiabesco. Un ruolo fondamentale lo ebbero le illustrazioni del disegnatore Thomas Nast. Che a partire dagli anni Sessanta dell’Ottocento lo raffigurò come un uomo anziano, robusto e sorridente, già vestito con abiti invernali e colori caldi, spesso vicini al rosso.

                Il passaggio decisivo avviene però nel Novecento, quando l’immagine di Babbo Natale viene fissata nell’immaginario collettivo grazie ai mass media. A partire dagli anni Trenta, l’illustratore Haddon Sundblom realizza una serie di campagne pubblicitarie per la Coca-Cola che mostrano un Babbo Natale bonario. Umano e familiare, con il celebre completo rosso bordato di bianco. È importante chiarirlo: l’azienda non ha “inventato” Babbo Natale, ma ha contribuito in modo determinante a rendere universale e standardizzata la sua iconografia.

                Il rosso, oltre a essere già presente in raffigurazioni precedenti, richiama simbolicamente il calore, l’energia e la festa; il bianco evoca la neve, l’inverno e la purezza. Una combinazione cromatica perfetta per un personaggio legato al Natale, capace di superare confini religiosi e culturali.

                Oggi Babbo Natale è una figura globale, riconoscibile ovunque, frutto di un lungo processo di trasformazione che mescola fede, folklore, arte e comunicazione. Dietro quel costume apparentemente semplice si nasconde una storia complessa, fatta di secoli di narrazioni che continuano, anno dopo anno, a rinnovare la magia del Natale.

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