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Cinema

“U.S. Palmese”, i Manetti Bros fanno gol: Papaleo e il calcio di provincia riscrivono la commedia italiana

Con un Rocco Papaleo in stato di grazia, una squadra di comprimari perfetta e la regia ispirata dei Manetti bros, “U.S. Palmese” sorprende con una storia leggera e intelligente che mischia calcio, provincia e seconde occasioni.

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    Anche se il titolo potrebbe ingannare e far pensare a un documentario sportivo di nicchia, U.S. Palmese dei Manetti bros è tutt’altro: una piccola e sorprendente commedia italiana, di quelle che sembravano scomparse dagli schermi. Finalmente un film che diverte senza prendersi troppo sul serio, che racconta il calcio e la provincia con leggerezza e intelligenza, facendo pensare — senza paura di esagerare — a una sorta di nuovo L’allenatore nel pallone.

    Il cuore pulsante della pellicola è Don Vincenzo, un pensionato calabrese interpretato da un Rocco Papaleo tornato ai suoi massimi livelli. Il suo personaggio trascina i concittadini in un’impresa disperata quanto affettuosa: salvare la loro squadra del cuore, la Palmese, proponendo di autotassarsi per comprare un calciatore vero, una stella caduta. L’asso in questione è Etienne Morville, ex prodigio della banlieue parigina finito a Milano tra milioni e eccessi, interpretato da Blaise Afonso. Stanco delle luci abbaglianti e delle cadute rovinose del grande calcio, Morville accetta di ricominciare proprio da Palmi, per tentare di ricostruirsi una reputazione. Ma Palmi non è Milano e il divertimento, per lui, è destinato a cambiare volto.

    I Manetti bros ritrovano qui lo smalto migliore che mancava dai tempi di Ammore e malavita. Dopo la parentesi rigorosa dei tre Diabolik, stavolta tornano a una comicità più immediata, contaminando abilmente il genere sportivo con quello della commedia di paese. La squadra di Don Vincenzo è irresistibile: c’è l’ampolloso Gianfelice Imparato, il macellaio senza freni Max Bruno, il baffuto Massimo De Lorenzo e la poetessa malinconica interpretata da una Claudia Gerini calata perfettamente nel ruolo.

    C’è anche spazio per il romanticismo con la storia che si intreccia tra il giovane fuoriclasse e la figlia di Don Vincenzo, interpretata dalla rivelazione Giulia Maenza, e un’attenzione linguistica sorprendente: tutti i protagonisti parlano un calabrese fluente e credibile, dando ancora più verità al contesto.

    I Manetti dimostrano di aver studiato bene il cinema popolare italiano, citando in controluce L’allenatore nel pallone, ma anche i film sul calcio degli anni ’70 e ’80. Le scene sul campo e le ricostruzioni delle trasmissioni tv sportive — con tanto di concessioni e omaggi evidenti a Sky — sono girate con mestiere e ritmo.

    Alla fine si ride, si tifa e si esce dalla sala con quella sensazione rara di aver visto un film che non fa la morale, non cerca il colpo di genio pretenzioso, ma regala un paio d’ore di puro intrattenimento, proprio come sapeva fare una certa commedia all’italiana.

    Per una volta, insomma, il risultato è tutto da applaudire. In sala.

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      Cinema

      Quando Patrick Swayze salvò Whoopi Goldberg: la verità dietro il ruolo leggendario in Ghost

      L’attrice, già celebre prima del 1990, rischiava di non essere scelta per interpretare la medium Oda Mae Brown. A convincere la produzione fu proprio Patrick Swayze, che minacciò di lasciare il film se non avessero scritturato Whoopi.

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      Whoopi Goldberg

        Il set di Ghost – Fantasma sta prendendo forma. La sceneggiatura di Bruce Joel Rubin, premiata poi con l’Oscar, è pronta, e la regia è affidata a Jerry Zucker. Il progetto mescola amore, dramma e sovrannaturale, una formula allora considerata rischiosa. Ma ciò che pochi sanno è che uno dei ruoli più iconici del film, quello della medium Oda Mae Brown, interpretato magistralmente da Whoopi Goldberg, stava per sfumare ancora prima di iniziare.

        Una star “troppo ingombrante”

        All’epoca, Goldberg era già un volto noto del cinema americano grazie a film come Il colore viola di Steven Spielberg (1985), che le era valso la prima candidatura all’Oscar. La sua fama, però, rappresentava un ostacolo. Il team di produzione di Ghost temeva infatti che la sua presenza potesse oscurare i due protagonisti, Demi Moore e Patrick Swayze, scelti per incarnare la struggente storia d’amore tra Molly e Sam.

        Lo sceneggiatore Rubin, in particolare, pensava che il personaggio della medium dovesse essere affidato a un’attrice meno conosciuta, in modo da non distogliere l’attenzione dal cuore romantico del film. Whoopi, pur entusiasta della parte, aveva saputo che la produzione non la voleva e decise di rinunciare senza neppure presentarsi al provino.

        Il colpo di scena: l’intervento di Swayze

        Fu proprio Patrick Swayze, allora all’apice del successo dopo Dirty Dancing (1987), a cambiare tutto. Durante un incontro con i produttori, l’attore chiese se avessero preso in considerazione Goldberg per il ruolo di Oda Mae Brown. Alla risposta negativa, Swayze insistette: “O è lei, o non faccio il film”.

        La determinazione dell’attore ebbe effetto immediato. La produzione, colpita dal suo gesto, accettò di far sostenere un provino a Whoopi Goldberg — che, naturalmente, lo superò brillantemente. Anni dopo, l’attrice ha raccontato l’episodio durante il talk show britannico Loose Women, ammettendo di non aver mai dimenticato quel gesto di fiducia:

        “Se Patrick non avesse insistito, non credo che avrei mai ottenuto quel ruolo. Gli devo moltissimo. Ha creduto in me quando altri avevano paura.”

        Un legame profondo

        Sul set, tra Whoopi Goldberg e Patrick Swayze nacque un’amicizia autentica e immediata. I due condividevano lo stesso senso dell’umorismo e un grande rispetto professionale.
        In un’intervista al The Howard Stern Show, Goldberg ha ricordato con emozione quei momenti:

        “Tra noi c’era una connessione difficile da spiegare. Ci capivamo senza parlare. Patrick era generoso, protettivo e incredibilmente determinato. Mi ha insegnato tanto.”

        Quando Swayze morì nel 2009, dopo una lunga battaglia contro il cancro al pancreas, Goldberg gli dedicò un commovente messaggio in diretta televisiva:

        “Mi ha cambiato la vita”.

        Il trionfo agli Oscar

        Il successo di Ghost superò ogni aspettativa. Uscito nelle sale nel 1990, incassò oltre 500 milioni di dollari in tutto il mondo, diventando il film romantico più redditizio del decennio.
        Nonostante le recensioni iniziali contrastanti, il pubblico ne fece un fenomeno culturale.

        Il personaggio di Oda Mae Brown, la medium truffaldina ma dal cuore buono che aiuta l’anima di Sam a comunicare con Molly, conquistò tutti.
        Goldberg vinse nel 1991 l’Oscar come Miglior Attrice non Protagonista, diventando la seconda donna afroamericana nella storia ad aggiudicarsi la statuetta.

        Un’eredità senza tempo

        Oggi, a più di trent’anni dall’uscita del film, Ghost resta un capolavoro di equilibrio tra romanticismo, commedia e paranormale.
        E la performance di Whoopi Goldberg è diventata parte della storia del cinema: ironica, intensa, indimenticabile.

        Quel film mi ha dato tutto — ha raccontato l’attrice in un’intervista recente —. Mi ha permesso di essere me stessa e di far ridere e piangere le persone. Patrick ha visto in me qualcosa che io, allora, non vedevo ancora.

        Un gesto di fiducia che non solo ha cambiato una carriera, ma ha scritto una pagina indelebile nella storia di Hollywood.

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          Cinema

          Roma celebra la nascita di FilmAmo: il social network del cinema che trasforma gli spettatori in protagonisti

          Durante la serata, spazio anche alle anteprime di Ti Respiro, corto prodotto da WeShort con Jenny De Nucci e al docufilm Il Bar del Cult, omaggio alla commedia italiana con Verdone, Banfi, Vanzina e Alvaro Vitali.

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            Il cinema incontra i social e la passione diventa partecipazione. Venerdì 24 ottobre, Roma sarà il cuore pulsante di una rivoluzione culturale che unisce il mondo del grande schermo a quello del web. Cento film influencer da tutta Italia, insieme a giornalisti e volti noti del mondo dello spettacolo, si collegheranno in diretta dal Villaggio della Festa del Cinema e, in serata, si ritroveranno nella Sala Iconica del Cinema Moderno per lanciare FilmAmo, il primo social network interamente dedicato al cinema, dove gli utenti potranno recensire, votare e persino diventare comproprietari di contenuti audiovisivi.

            Il progetto nasce come crowdfunding partecipativo rivolto a un pubblico di veri film lovers: un modo innovativo per costruire una community globale di appassionati, produttori e spettatori che interagiscono direttamente con il mondo della settima arte. Un milione di follower seguirà in diretta il debutto di FilmAmo, che punta a diventare una piattaforma internazionale con milioni di utenti e una missione chiara: rendere il cinema accessibile, condiviso e democratico.

            La serata sarà anche un’occasione per celebrare il talento e la creatività italiana. Grazie alla collaborazione con WeShort, società di streaming, distribuzione e produzione specializzata in contenuti premium di breve durata, verrà presentato “Ti Respiro”, un cortometraggio originale WeShort Originals prodotto da Daitona con il supporto di Giffoni Innovation Hub. Il corto, disponibile su Rai Play, è diretto da Lorenzo Giovenga e Giuliano Giacomelli, e vede protagonista Jenny De Nucci, attrice amatissima dal pubblico con oltre un milione di follower.

            A seguire, il pubblico del Cinema Moderno assisterà alla proiezione de “Il Bar del Cult”, un docufilm che omaggia la grande commedia italiana degli anni ’70 e ’80. Il film, ideato da Rocco De Vito e diretto da Mirko Zullo, è un viaggio tra aneddoti, risate e memorie cinematografiche con protagonisti Lino Banfi, Carlo Verdone, Pippo Franco, Sergio Martino, Enrico Vanzina, Jerry Calà, Gigi & Andrea, Carmen Russo, Mirella Banti, Luc Merenda e l’indimenticabile Alvaro Vitali.

            Tra passato e futuro, la serata segna una svolta nel modo di vivere il cinema: da semplice spettatore a protagonista attivo di una nuova era digitale, dove la passione per i film diventa condivisione, investimento e comunità.

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              Cinema

              Il metodo Fenech contro i molestatori: “Una ginocchiata al momento giusto e capivano che non ero una da mettere sotto”

              L’icona del cinema erotico italiano parla senza rancore del lato oscuro degli esordi: “All’epoca la parola di una ragazza non valeva niente”. Poi il messaggio alle nuove generazioni: “La vera libertà è poter dire di no, senza paura”. E sul MeToo: “Non dimentichi le donne comuni, non solo le star”.

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                Una ginocchiata, e passava la paura. Così Edwige Fenech, 76 anni, ha raccontato in diretta su Rai1, ospite di Francesca Fialdini a Da noi… a ruota libera, come ha imparato a difendersi da giovane dalle molestie. “Ero all’inizio del mio percorso e in certi ambienti la prepotenza era la norma. La parola di una ragazza non valeva niente. Non avevi strumenti, né sostegno. Ti difendevi come potevi”, ha ricordato l’attrice, simbolo del cinema sexy italiano degli anni Settanta.

                Con la voce ferma e un sorriso che non cancella la memoria, Fenech ha aggiunto: “Io ho sempre reagito a modo mio: una vigorosa ginocchiata al momento giusto bastava a far capire che non ero una da mettere sotto”. Una frase che riassume un’epoca in cui le giovani attrici, spesso sole davanti al potere dei produttori, dovevano trovare il modo di sopravvivere a un sistema spietato.

                Senza mai cedere al vittimismo, Fenech ha raccontato di aver trasformato quelle esperienze in forza. “Non rinnego nulla, nemmeno le ferite. Mi hanno resa più forte, più consapevole. Ora so che la vera libertà è poter dire di no, senza paura”.

                Nel corso dell’intervista, l’attrice e produttrice ha anche commentato una riflessione della scrittrice femminista Susan Faludi, secondo cui il movimento MeToo avrebbe perso forza quando è diventato una battaglia delle star di Hollywood. “Non deve essere così – ha replicato –. Il MeToo è nato per difendere le donne comuni, quelle che non hanno un nome famoso o una telecamera accesa. La libertà e il rispetto devono valere per tutte”.

                Oggi, Edwige Fenech guarda al passato con lucidità. Da icona di un cinema spesso frainteso a donna che ha saputo reinventarsi, il suo messaggio è semplice ma potentissimo: il rispetto non si chiede, si impone. Anche con una ginocchiata, se serve.

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