Connect with us

Storie vere

«Abbiamo lasciato tutto per girare il mondo: nessuna eredità ai nostri sei figli, ma un esempio di coraggio e libertà»

A 53 anni, la coppia texana ha detto addio alla vita convenzionale per inseguire il sogno di una pensione anticipata fatta di scoperte e avventura. Dall’Inghilterra all’Africa, con un budget pianificato e nessun rimpianto, dimostrano che il presente può valere più di qualsiasi eredità lasciata ai propri figli.

Avatar photo

Pubblicato

il

    A volte, nella vita, arriva un momento in cui bisogna scegliere tra sicurezza e libertà. Kelly e Nigel Benthall, texani di 53 anni, hanno deciso di abbandonare ogni certezza per rincorrere un sogno: vivere il mondo un pezzo alla volta, senza rimandare a un futuro incerto. Dopo una lunga carriera nel settore petrolifero, hanno lasciato il lavoro, venduto la seconda auto e riorganizzato le loro priorità. La loro missione? Viaggiare e vivere intensamente, dimostrando ai loro sei figli che non esiste un solo modo per affrontare la vita.

    «Se qualcuno mi avesse detto che oggi sarei stata a Mauritius a scrivere queste righe, avrei riso incredula», racconta Kelly in un’intervista a Business Insider. Eppure, da agosto, questa è la loro nuova realtà. Nigel e Kelly si spostano da un continente all’altro, fermandosi per almeno un mese in ogni luogo, immergendosi nella cultura locale e scoprendo il mondo come residenti temporanei. Hanno già esplorato l’Inghilterra, la Croazia, l’Italia e la Spagna, e oggi si trovano sulle spiagge di Mauritius.

    Ma questa scelta non è stata semplice. La coppia ha dovuto affrontare decisioni che avrebbero fatto vacillare chiunque. Tra queste, quella di non lasciare un’eredità ai propri figli. «Abbiamo deciso di investire su di loro nei primi 25 anni della loro vita», spiega Kelly, «offrendo loro un’educazione solida e le basi per essere indipendenti». Il resto, dicono, è servito a finanziare una nuova vita per sé stessi.

    Sposati dal 2017, Kelly e Nigel hanno vissuto la pandemia come un momento di riflessione. «Ci siamo resi conto di quanto fosse inutile accumulare cose. Abbiamo imparato a vivere con meno e a concentrarci sull’essenziale». Con l’aiuto di un consulente finanziario, hanno pianificato una strategia per gestire i loro risparmi, evitando di preoccuparsi del futuro. «Spendiamo tutto ciò che abbiamo, ma con consapevolezza», sottolinea Kelly.

    Ora, con un budget mensile di circa 6.000 dollari (5.700 euro), vivono in modo semplice ma pieno di significato. Acquistano nei mercati locali, cucinano a casa e si immergono nella cultura delle destinazioni che scelgono. «Non sappiamo dove ci porterà questa avventura, ed è proprio questo il bello», ammette Kelly.

    Per i loro sei figli, questa decisione è stata un cambio di prospettiva radicale. Ma Kelly e Nigel sperano che il loro esempio possa insegnare qualcosa di prezioso: «A volte bisogna fare un salto nel vuoto e aggrapparsi ai propri sogni. Non esiste un solo modo di vivere».

    Questo stile di vita non è privo di sfide, ma la coppia è determinata a godersi ogni istante. Per loro, il presente conta più di qualsiasi eredità materiale. «Non vogliamo lasciare ai nostri figli ricordi che non siano stati vissuti. Quello che stiamo facendo oggi vale più di qualsiasi lascito futuro», racconta Kelly.

    La loro storia è un inno alla libertà e al coraggio di ribaltare il concetto di “normalità”. Non è solo una fuga dalla routine, ma un percorso di scoperta personale e culturale, dove ogni tappa rappresenta un nuovo capitolo. Nigel e Kelly vivono un’esistenza che molti sognano, ma che pochi osano realizzare: piena di avventure, sorprese e, soprattutto, una profonda consapevolezza di ciò che conta davvero nella vita.

      SEGUICI SU INSTAGRAM
      INSTAGRAM.COM/LACITYMAG

      Storie vere

      Clausura a luci rosse: suora beccata online, la badessa la richiama e finisce rimossa

      Una suora sorpresa su siti erotici, una badessa che invita alla castità, una lettera anonima al Vaticano e dodici religiose in fuga. A Vittorio Veneto le suore di clausura si sono divise tra obbedienza e ribellione, tra convento e villa segreta. Ma il convento, ora, non è più lo stesso.

      Avatar photo

      Pubblicato

      il

      Autore

        C’era una volta un convento silenzioso, raccolto tra le colline venete, dove dodici monache di clausura vivevano nella quiete, tra litanie e rosari. Fino a quando il diavolo — o forse solo la connessione internet — non ci mise la coda. E a Vittorio Veneto scoppiò il finimondo tra le suore.

        A raccontare l’ultima novena della discordia è una delle religiose fuggite: «Una delle consorelle era stata scoperta dalla badessa Aline su siti erotici. L’aveva invitata con delicatezza a rispettare il voto di castità. Ma da lì — guarda un po’ — è partita la lettera anonima al Papa», spiega oggi, con voce non proprio da confessionale.

        La famosa missiva, indirizzata a Papa Francesco e firmata da quattro sorelle, accusava suor Aline di autoritarismo e gestione dispotica. Peccato che, secondo la versione delle “fuggiasche”, la questione sarebbe iniziata per tutt’altri motivi. Ovvero, per la voglia repressa di una sorella un po’ troppo curiosa.

        Suor Aline, per molti un punto di riferimento spirituale e disciplinare, è stata rimossa dal Vaticano dopo l’esplosione del caso. Al suo posto è arrivata suor Martha Driscoll. Ma a quel punto, il clima dentro il convento era già da apocalisse: tensioni, ispezioni, sguardi storti nei corridoi e, dicono, pure qualche porta sbattuta più forte del dovuto.

        Così, dodici suore hanno preso il velo (metaforicamente) e se ne sono andate. Ora vivono in una villa segreta, donata da un benefattore devoto e, immaginiamo, discretamente incuriosito. Temono “ritorsioni”, dicono. Non si sa da chi, ma si sa che preferiscono mantenere l’anonimato, anche se ormai — nel paese — il convento è diventato la nuova telenovela del dopomessa.

        «Invece di affrontare le criticità, è stata rimossa la badessa. E tutti i soldi sono rimasti nel monastero», raccontano. Le suore in fuga vivono oggi con uno stipendio, una pensione e qualche offerta della comunità. Ma la vera eredità, quella che arde tra incensi e pettegolezzi, è un convento spaccato in due.

        Una sola certezza rimane: anche tra le mura della clausura, le passioni umane battono più forte del silenzio. E dove non arrivano gli spiriti santi, arriva la fibra ottica.

          Continua a leggere

          Storie vere

          Padova, rifiuta l’orale alla maturità: “È solo una sciocchezza”

          Aveva già i crediti per il diploma e ha scelto di non presentarsi all’orale come forma di protesta: “Il sistema scolastico genera solo stress e competizione”. Dopo un confronto coi docenti, ha accettato di rispondere ad alcune domande.

          Avatar photo

          Pubblicato

          il

          Autore

            Gianmaria Favaretto, 19 anni, studente del liceo scientifico Fermi di Padova, ha deciso di voltare le spalle all’esame orale della maturità. Non per un ripensamento dell’ultimo minuto o per paura del confronto, ma per protesta. La mattina del colloquio, con un tono fermo e garbato, ha firmato il registro, ha ringraziato la commissione ed è uscito dall’aula. «Grazie di tutto, ma io questo colloquio non lo voglio sostenere», ha detto. E se n’è andato.

            La sua non è stata una fuga, ma una decisione meditata: “Avevo maturato questa scelta nel corso dell’anno. Con i 31 crediti accumulati nel triennio e i 31 ottenuti con le prove scritte, ero già a quota 62. Quindi avevo la sufficienza per il diploma”. Ma soprattutto, per lui, l’orale non aveva alcun valore. “È solo una formalità inutile – ha spiegato – un numero che pretende di misurare la persona, ma che non dice nulla sul suo valore reale”.

            Favaretto ha criticato duramente l’intero impianto della scuola italiana, e in particolare la pressione legata al voto: “C’è troppa competizione in classe. Ho visto compagni diventare cattivi per mezzo punto. Questa ossessione per il giudizio numerico soffoca la crescita e mina il benessere degli studenti”. Secondo lui, l’attuale sistema scolastico genera solo ansia e frustrazione, trasformando la maturità in una gara più che in un momento di riflessione o di passaggio.

            Di fronte alla sua scelta, la presidente di commissione ha reagito con fermezza: “Mi ha detto che stavo mancando di rispetto al lavoro dei docenti che avevano corretto i miei scritti”. Ma, dopo un confronto più sereno con gli insegnanti interni, è stato trovato un compromesso: Gianmaria ha risposto ad alcune domande di programma, guadagnando 3 punti che hanno portato il suo voto finale a 65 su 100.

            Un gesto forte, il suo, che non si limita a una protesta personale ma solleva interrogativi più ampi sul senso e sull’efficacia dell’esame di Stato. “Sono probabilmente il primo a fare una cosa del genere al Fermi”, ha detto. E forse anche uno dei pochi ad aver trasformato l’esame in un’occasione di denuncia.

              Continua a leggere

              Storie vere

              Cacciata da un ristorante perché tifosa della Lazio: la piccola Emma diventa simbolo di civiltà tradita

              È successo davvero: una famiglia in vacanza si è vista negare l’ingresso in un ristorante della riviera abruzzese perché la figlia indossava i colori biancocelesti. Reazioni indignate da Lazio e Pescara, mentre Lotito la invita a Formello.

              Avatar photo

              Pubblicato

              il

              Autore

                Immaginate la scena: una bambina di undici anni, in vacanza con mamma e papà, si presenta felice davanti a un ristorante sul lungomare di Pescara. Indossa con orgoglio una maglietta della Lazio e un cappellino abbinato. Ma a quanto pare, non è gradita. “Qui non potete entrare”. Non perché abbiano il cane, non perché siano in ritardo, non perché la cucina sia chiusa. Ma per quella maglia. Quella maglietta della Lazio.

                È successo davvero. E in un lampo è diventato un caso nazionale, anzi una piccola, triste fotografia dell’Italia che riesce sempre a superarsi nella gara dell’intolleranza calcistica. La notizia, pubblicata da Il Centro, ha provocato una tempesta di reazioni. A cominciare dalla stessa Lazio, che via social ha scritto: “Cara Emma, ti aspettiamo a Formello. Qui sei la benvenuta”.

                Ma a sorprendere è anche la reazione del Pescara Calcio, club storicamente rivale della Lazio. Anche loro hanno preso le distanze, con un messaggio chiaro: “Negare l’ingresso a una bambina per la sua fede calcistica è un gesto che non ha alcuna giustificazione”. Parole semplici, ma che oggi suonano come ossigeno in un Paese dove si scambia il tifo per una guerra di religione.

                La piccola Emma, diventata suo malgrado simbolo della civiltà calcistica che fu, ha raccolto una valanga di solidarietà. Sì, perché indignarsi è giusto. Ma è ancora più giusto chiedersi come sia possibile che nel 2025 qualcuno pensi di fare selezione all’ingresso in base alla squadra del cuore. In un ristorante, poi. Dove si dovrebbe andare per stare bene, non per essere giudicati.

                Ora Emma visiterà il centro sportivo biancoceleste. Vedrà i suoi beniamini, riceverà abbracci e maglie firmate. Ma nessun gesto, per quanto bello, potrà cancellare quel momento in cui si è sentita esclusa. E tutto per una maglietta. O meglio, per l’idea sbagliata che certi adulti hanno dello sport.

                  Continua a leggere
                  Advertisement

                  Ultime notizie

                  Lacitymag.it - Tutti i colori della cronaca | DIEMMECOM® Società Editoriale Srl P. IVA 01737800795 R.O.C. 4049 – Reg. Trib MI n.61 del 17.04.2024 | Direttore responsabile: Luca Arnaù