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La corsa dei corgi per la regina Elisabetta: quando l’amore per gli animali diventa una tradizione di famiglia

In Scozia, la gara che ricorda il legame unico tra Elisabetta II e i suoi amati cani. Un’eredità fatta di fedeltà, emozione e una lunga storia a quattro zampe nella casa reale.

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    Nel vento fresco di Musselburgh, alla vigilia di Pasqua, una piccola corgi di nome Juno ha tagliato il traguardo tra l’entusiasmo generale, aggiudicandosi il Musselburgh Racecourse Corgi Derby. Una vittoria che va oltre la semplice corsa: Juno, quattro anni, ha corso anche in nome di una tradizione, di un affetto speciale che lega il mondo intero alla memoria di Elisabetta II. È per celebrare quella passione che, nel 2022, nacque questa gara in Scozia, una terra tanto amata dalla sovrana, assidua frequentatrice della residenza di Balmoral.

    L’amore di Elisabetta per i corgi non è mai stato un semplice vezzo regale. Era qualcosa di più profondo, di più intimo. Lo raccontava la storia della sua inseparabile Susan, il regalo ricevuto per il diciottesimo compleanno, che divenne la sua ombra discreta anche durante il viaggio di nozze con Filippo nel 1947. Susan non fu solo il primo corgi della regina, ma la capostipite di una dinastia canina che avrebbe accompagnato Elisabetta per tutta la vita, attraversando quattordici generazioni e imprimendosi nel cuore del mondo.

    Quando nel 2012, durante la cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Londra, il pubblico vide la regina recitare accanto a James Bond, fu proprio Willow — discendente diretta di Susan — a zampettare accanto a lei, simbolo vivente di una tradizione familiare che non conosceva pause. Willow sarebbe morto nel 2018, pochi mesi prima della perdita anche di Whisper, un altro corgi che Elisabetta aveva adottato da un ex maggiordomo di Sandringham. Ogni addio a uno dei suoi amici a quattro zampe era per la regina una ferita profonda, lenita soltanto da nuovi arrivi o dal conforto del ricordo.

    Negli ultimi anni della sua vita, segnati dalla pandemia e dalla lunga agonia del principe Filippo, la presenza dei corgi era diventata ancora più importante. Due nuovi cuccioli arrivarono a Windsor a farle compagnia nei mesi difficili del lockdown, donandole sollievo nella solitudine forzata e conforto in uno dei periodi più dolorosi della sua esistenza.

    Non era soltanto l’affetto materno di una padrona per i suoi animali: era qualcosa di più simile a una comunione profonda. Elisabetta si prendeva cura personalmente della loro alimentazione, li viziava con piccoli premi, e si racconta che preferisse occuparsi da sé dei loro pasti speciali, al riparo dai protocolli di corte.

    Quando, infine, nel settembre 2022 Elisabetta spirò a Balmoral, lasciava dietro di sé un vuoto non solo umano, ma anche simbolico. Da tempo aveva smesso di allevare nuovi cani, temendo di abbandonare cuccioli troppo giovani. Una delicatezza che dice molto della sua sensibilità.

    A ricordare quella storia straordinaria, la corsa dei corgi di Musselburgh non è soltanto una gara tra buffi e determinati piccoli corridori. È un omaggio vivente. Quest’anno è stata Judy Murray, madre del campione di tennis Andy, a premiare la vincitrice Juno. I suoi proprietari, Alisdair Tew e Fran Brandon, hanno raccontato divertiti come l’arma segreta della loro corgi sia la passione insaziabile per i bocconcini: «Juno è sempre pronta a correre se sa che alla fine ci sarà un premio».

    Proprio come la loro regina, che sapeva ricambiare fedeltà e amore dei suoi corgi con attenzioni costanti e gesti di cura quotidiana. E che aveva saputo infondere quell’amore a tutta la famiglia reale. Non è raro, infatti, che i nipoti William e Harry abbiano raccontato sorridendo del continuo, affettuoso abbaiare che si sentiva tra le stanze di Buckingham Palace e Windsor.

    Ma l’amore per i cani nella casa reale britannica affonda radici molto più antiche. Già la regina Vittoria, nell’Ottocento, fu inseparabile dal suo Dash, un king Charles spaniel che la giovane sovrana volle stringere a sé immediatamente dopo l’incoronazione a Westminster, ancora con la corona sul capo e lo scettro in mano. Dash aveva illuminato l’infanzia solitaria della giovane Vittoria a Kensington Palace, diventandone compagno insostituibile.

    Anche Edoardo VII e Giorgio V furono circondati da cani fedeli, prediligendo terrier e labrador. Ma fu Giorgio VI, il padre di Elisabetta, a introdurre in via ufficiale i corgi a corte, una predilezione che la futura regina fece sua con entusiasmo, tramandandola attraverso decenni di storia.

    Perfino gli aneddoti legati ai corgi della regina hanno raggiunto i dibattiti parlamentari, come quando un postino fu morso a Balmoral e ci si interrogò sull’opportunità di mettere un avviso di “Attenti al cane” davanti ai cancelli reali.

    In fondo, la vita di Elisabetta II è stata anche questo: un equilibrio costante tra solennità istituzionale e affetti semplici, autentici. E non c’è immagine più vera di quella della sovrana, regina dei record, che corre con un sorriso dietro ai suoi piccoli, inseparabili corgi.

    Non c’è dubbio che, mentre le corse si ripetono e i piccoli vincitori ricevono i loro premi, da qualche parte, tra le brughiere scozzesi o i giardini di Windsor, una parte dello spirito di Elisabetta continui a camminare, trotterellare, rincorrere la vita. A quattro zampe, ovviamente.

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      La cicatrice magica del principe William: “Brilla come quella di Harry Potter”

      Colpito da una mazza da golf a 8 anni, William racconta con ironia l’aneddoto dietro il segno sopra l’occhio sinistro.

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        Durante una recente visita a Cardiff, il principe William ha svelato con il suo consueto umorismo l’origine della cicatrice che porta sopra l’occhio sinistro. Un piccolo segno ormai diventato parte del suo volto e della sua storia. “La mia cicatrice? È come quella di Harry Potter, a volte brilla”, ha raccontato scherzando con i presenti, lasciando tutti divertiti e incuriositi. Ma dietro quella battuta si nasconde un episodio tutt’altro che magico.

        Un colpo inferto da una mazza da golf

        Era il 1991 e William aveva appena otto anni quando, durante una partita a golf con alcuni amici alla Ludgrove School, fu colpito accidentalmente alla testa da una mazza. L’impatto fu violento e gli causò una frattura cranica, tanto da rendere necessario il ricovero in ospedale. Sua madre, la principessa Diana, rimase al suo fianco per tutta la notte, preoccupata ma presente come solo lei sapeva essere. Fortunatamente, il piccolo principe si riprese senza gravi conseguenze, ma con un segno ben visibile che ancora oggi porta con sé.

        Una cicatrice molto cool

        William non ha mai nascosto quella cicatrice, anzi, l’ha trasformata in un tratto distintivo. La paragona spesso alla celebre saetta sulla fronte del maghetto di Hogwarts, e racconta che, a seconda della luce, sembra davvero brillare. Un dettaglio che incuriosisce chi lo incontra e che lui stesso ama raccontare con autoironia. Nel tempo, quella cicatrice è diventata un simbolo di resilienza e spontaneità, un piccolo ricordo d’infanzia che il futuro re non ha mai voluto cancellare. E così, mentre il mondo lo osserva con occhi da futuro sovrano, William continua a portare con sé un frammento della sua infanzia.

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          Re Carlo ruba la scena ai Sussex, sbarcando su Netflix partecipando ad un documentario

          Il debutto di Re Carlo sulla piattaforma streaming segna un nuovo capitolo per la monarchia britannica. E ora, per Harry e Meghan, la concorrenza arriva… direttamente da Buckingham Palace!

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            Il Regno Unito entra ufficialmente nell’era dello streaming. Re Carlo III ha deciso di partecipare a un documentario Netflix dedicato al King’s Trust, l’organizzazione benefica da lui fondata che sostiene i giovani. Una mossa storica, che segna il primo vero passo del Sovrano britannico nel cuore del media digitale globale. A curare la produzione sarà Eva Omaghomi, stretta collaboratrice del Re, mentre tra i protagonisti spicca il nome dell’attore Idris Elba.

            Per un reame più moderno e smart

            La scelta non è casuale: con questa operazione, Re Carlo punta a modernizzare l’immagine della monarchia, avvicinandola a un pubblico più giovane e internazionale. Il CEO del King’s Trust, Jonathan Townsend, ha spiegato che il progetto sarà incentrato sull’empowerment giovanile, un tema sempre più centrale nella comunicazione istituzionale del Re.

            Harry e Meghan: il monopolio mediatico è finito?

            Il debutto di Re Carlo su Netflix non è solo un gesto simbolico. È anche un messaggio diretto a chi, negli ultimi anni, ha cercato di riscrivere la narrazione reale da oltreoceano. Harry e Meghan Markle, ex Duchi di Sussex, avevano fatto proprio della piattaforma streaming il loro canale preferenziale, siglando nel 2020 un contratto da 153 milioni di dollari.

            Non più all’apice della cronaca

            Tuttavia, tra progetti cancellati e recensioni tiepide, il vento è cambiato. Le critiche della stampa americana li definiscono oggi “i più grandi perdenti di Hollywood”. Il rischio è che ora la loro narrazione venga sovrastata dalla figura istituzionale – e più credibile – di Re Carlo, che ha saputo cogliere il momento giusto per entrare nel gioco.

            Marketing, percezione e impatto reale

            La presenza del Re su Netflix è anche una brillante mossa di strategia comunicativa. Le piattaforme digitali sono oggi il canale principale per creare engagement, specialmente tra i giovani. Se il documentario riscuoterà successo, potremmo assistere a un aumento diretto nelle donazioni al King’s Trust, migliorando contemporaneamente brand reputation e impatto sociale. Sotto la lente ci sono KPI come CTR, engagement rate e ROAS. Tutti indicatori chiave che potrebbero trasformare questo esperimento in un modello replicabile anche per altri membri della Royal Family. Il trono è più digitale che mai… e Re Carlo lo sa bene.

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              Il Principe William è sempre più vicino al trono: tutti gli indizi della sua ascesa

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                Un tempo gli eredi al trono si limitavano a tagliare nastri e inaugurare giardini botanici. Oggi, invece, il Principe William si muove tra leader mondiali, partecipa a funerali papali, stringe mani che contano e guida delegazioni ufficiali con l’aplomb di chi sa bene dove sta andando. Il regno, forse, non è ancora a portata di mano, ma l’atmosfera a corte racconta sempre più chiaramente che la transizione è in atto.

                A 42 anni, il Principe di Galles sta vivendo una stagione di forte esposizione pubblica. Ha rappresentato il padre al funerale di Papa Francesco, fianco a fianco con nomi del calibro di Trump, Macron e Zelensky. Non un semplice compito di cortesia, ma un battesimo politico in piena regola. Alla riapertura della cattedrale di Notre-Dame, è toccato a lui guidare la delegazione britannica, in una Parigi ancora emozionata. E secondo l’esperto reale Hugo Vickers, “William è ormai tra i grandi”.

                La domanda sorge spontanea: sta già scaldando il trono? Secondo Vickers, la risposta è sì, pur con le dovute cautele. “È naturale che lo vediamo sempre più presente. Si sta preparando per assumere la corona, anche se nessuno è mai davvero pronto per un compito così impegnativo”. La monarchia, d’altra parte, è una maratona fatta di cerimonie, silenzi, simboli e tempismo. E il tempismo, oggi, sembra premere l’acceleratore.

                Anche perché la salute di Re Carlo, oggetto di crescente attenzione da parte dei media, alimenta speculazioni e previsioni. Nonostante la ferrea volontà del sovrano di mantenere il suo ruolo, è chiaro che il figlio maggiore sta già assumendo funzioni sempre più strategiche. Un apprendistato reale dal vivo, sotto gli occhi del mondo e sotto la pressione di un Paese che non ama le incertezze istituzionali.

                Ma dietro il volto controllato e il sorriso misurato di William, ci sono sfide personali tutt’altro che leggere. Prima fra tutte, la salute della moglie Kate Middleton, alle prese con un trattamento contro il cancro. Una prova difficile, che ha inevitabilmente rallentato la loro agenda pubblica, ma che ha anche evidenziato un lato più umano del futuro re: quello di marito e padre, prima ancora che di erede al trono.

                La monarchia britannica, nella sua lenta ma costante evoluzione, sembra dunque avviarsi verso una nuova era. Un’era meno mediaticamente eclatante rispetto a quella di Carlo, o all’epopea eterna di Elisabetta II, ma forse più sobria, concreta e consapevole. William non è un rivoluzionario, ma ha mostrato una leadership discreta e coerente, anche nei momenti più complessi. E il suo equilibrio tra senso del dovere e rispetto della privacy potrebbe diventare la cifra del suo futuro regno.

                La strada non è ancora segnata, ma il percorso sì. E a giudicare dagli indizi disseminati tra un impegno diplomatico e l’altro, William non solo si sta preparando: è già in cammino. Quando il momento arriverà, non ci sarà bisogno di proclami. Basterà guardarlo: sarà già re nei fatti, prima ancora che nei titoli.

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